venerdì 27 aprile 2018
venerdì 6 aprile 2018
6 aprile 1992, inizia l’incubo a Višegrad
26
anni fa aveva inizio la guerra in Bosnia Erzegovina con l’assedio di Sarajevo,
che con i suoi 1445 giorni è stato l’assedio più lungo della storia del
ventesimo secolo e, a Višegrad, con l’inizio dei bombardamenti ai danni delle
case dei musulmani-bosniaci.
Ripercorriamo
brevemente quei giorni grazie alle parole del giornalista e
scrittore Luca Leone nel reportage sul campo dal titolo Višegrad. L’odio, la morte, l’oblio
Ragioni economiche, storiche e
strategiche portano, il 6 aprile 1992, unità serbe locali appartenenti alla
Jna, ovvero la Jugoslovenska narodna armija, ad aprire il fuoco contro
la città di Višegrad oltre che contro molti villaggi circostanti.
Il referendum del 1° marzo 1992
aveva sancito quasi all’unanimità – con l’esclusione della quasi totalità dei
cittadini serbo-bosniaci, che si erano astenuti dalle urne, come chiesto dal
loro leader Radovan Karadžić – la volontà della Bosnia Erzegovina di
seguire l’esempio sloveno e croato e di proclamare l’indipendenza della
Repubblica dalla Jugoslavia. La reazione serbo-bosniaca è quasi immediata e si
concretizza in un diffuso intervento armato contro la Bosnia Erzegovina, sia a
Sarajevo che in molte città di confine. Tra queste, Višegrad.
Una breve
digressione. Il 6 aprile 1992 è il giorno in cui viene fatto formalmente
cominciare il conflitto in Bosnia Erzegovina. È il giorno in cui i cecchini, a
Sarajevo, assassinano Suada Dilberović e Olga Sučić. Qualche libro riporta la
data del 5 aprile per raccontare lo scoppio del conflitto. In realtà non è
così. Come non è vero, o non del tutto, che è quello il giorno in cui comincia
l’aggressione contro la municipalità di Višegrad. Si tratta, in verità, di date
simboliche, perché l’essere umano ha bisogno di catalogare tutto, e per farlo
necessita di un inizio e di una fine – trasferendo così negli archivi che forse
giungeranno ai posteri la sua, la nostra, biologica finitezza e fragilità.
I primi segnali
dell’inizio del conflitto in Bosnia Erzegovina risalgono alla fine del 1991. La
prima vittima sacrificale fu la cittadina bosniaco-erzegovese di Ravno, ad
ampia maggioranza croato-bosniaca, attaccata dalle forze serbo-bosniache.
L’allora presidente bosniaco Alija Izetbegović, il presunto padre della Bosnia
Erzegovina, bollò quel primo episodio di pulizia etnica come un “fatto” tra
serbi e croati e tranquillizzò i suoi concittadini – come follemente avrebbe
fatto altre volte, in seguito, anche di fronte all’evidenza dell’inizio
dell’assedio a Sarajevo – asserendo che la Bosnia in quel conflitto sarebbe
rimasta neutrale. Chissà se l’intellettuale musulmano-bosniaco amico della
Libia e dell’Arabia Saudita (e degli Stati Uniti) lo pensava davvero. Le prime
richieste d’aiuto arrivano a Sarajevo, però, dai villaggi e dalle cittadine
lungo la Drina, in particolare da Bijeljina (che è ben più di una cittadina,
con i suoi quasi 115.000 abitanti) e da Zvornik. Parliamo del 4-5 aprile.
giovedì 1 marzo 2018
Trentanove ore al gelo, altro che pantofole...
Il
vecchio distributore – che mai e poi mai, per svariate ragioni, rimpiangeremo –
ha scelto la settimana più fredda dell’anno per rendere i libri come da
contratto. Abbiamo così ricevuto alle otto del mattino di un gelido martedì 27
febbraio che ricorderemo a lungo ben tredici carton-pallet di dimensione
centimetri 120 per 80 di base, alti 80 centimetri. Dei mostri. Dentro le rese
nostre e quelle di un editore amico, che non aveva spazi logistici sufficienti
ad affrontare l’opera titanica. Totale: quasi 26.000 libri per circa quattrocento
titoli da lavorare. La maggior parte gettati dentro alla rinfusa. Molti dei
quali mai hanno visto il mondo al di fuori del magazzino del distributore.
Tanto, quando sono gli altri a pagare per i costi di stampa, qual è il
problema? L’ambiente? L’ecologia? Questi sconosciuti.
Il
lavoro, all’aperto, si è svolto dalle otto del mattino del 27 febbraio all’una
di notte del 28 febbraio; poi dalle otto del mattino del 28 febbraio alle
undici di sera del giorno stesso. Con l’incubo della neve (che per un’oretta in
effetti è scesa, il 27 pomeriggio), annunciata dalle dieci di sera del 28, e
con temperature che hanno raggiunto i -7 gradi centigradi. Il tutto, in due
persone.
Naturalmente
il telefono non ha fatto altro che squillare per due giorni. Ma rispondere era semplicemente
impossibile. Qualcuno ha anche scritto stizzito, sia sms che e-mail. Chissà mai
perché in tanti, troppi, hanno il brutto vizio di attaccare il prossimo prima
di sincerarsi che sia ancora vivo e in condizione di intendere e di volere…
Ora
ci troviamo tra piramidi e colonne di libri, con una domanda che ci mulina nel
cervello: che farne?
Vedremo.
Tutto
questo, alla fine, per dire che siamo tornati su piazza e che a volte ci sono
persone costrette a impegnarsi in lavori che gli altri nemmeno immaginerebbero.
Qualche
anno fa una vecchia collaboratrice mi “accusò” di aver scelto di fare questo
lavoro in proprio per starmene in pantofole, mentre lei, poverina, ogni giorno
doveva smazzarsi dei chilometri in auto per venire al lavoro. Io in quelle
trentanove ore, passate tra l’altro senza mangiare, tranne ogni tanto un tè
caldo (che diventava gelato nel volgere di dieci minuti) di pantofole non ne ho
viste. Ma le sognavo. Vedo e ascolto ogni giorno tanti luoghi comuni. Magari
prima di spararne fuori altri, sarebbe bello che in tanti sperimentassero l’esperienza
di riordinare 26.000 libri al gelo. Altro che pantofole, mia cara ex collaboratrice…
Nelle due foto, qualche scorcio di colonne in smaltimento...
lunedì 26 febbraio 2018
Višegrad, 27 febbraio 1993: la strage dei passeggeri del diretto 671
Višegrad è una cittadina della Bosnia orientale che ha vissuto, a partire dalla
primavera del 1992, sotto un regime del terrore e dell’orrore comandato da un
gruppo di paramilitari serbo-bosniaci sostenuti dall’esercito serbo, guidato
dai cugini Milan e
Sredoje Lukić. I due si rendono protagonisti, nel corso di quella terribile
estate del 1992, di una serie di episodi disumani, tra cui l’uccisione a sangue
freddo di sette musulmani-bosniaci, i cui cadaveri vengono
gettati nella Drina, e della combustione di cinquantacinque persone – tra cui
una neonata di tre giorni di vita – in una cantina di Pionirska ulica, nella quale i Lukić
lanciano ordigni incendiari alimentando poi le fiamme per ore con la benzina.
L’orrore continua con toni di questo genere per tutta l’estate, finché la pulizia
etnica ai danni dei musulmani-bosniaci – che
costituivano il 63 per cento della popolazione locale – viene portata a termine
con operazioni di rastrellamento, deportazioni e omicidi di massa di centinaia
di civili all’interno di case private. Circa tremila persone vengono uccise e
fatte scomparire. Il 27 febbraio del 1993,
come ricorda il giornalista e scrittore Luca Leone in Višegrad. L’odio,
la morte, l’oblio è una data importante nella cronologia dei fatti. “Il treno diretto
671, partito da Belgrado con destinazione Bar, entra nel territorio della
Repubblica serba di Bosnia, sempre nel comune di Rudo. Il convoglio viene fatto
fermare dai paramilitari dei cugini Lukić nella stazione di Štrpci, una
frazione di Rudo. I paramilitari avrebbero solo il mandato di controllare i
documenti di tutti i passeggeri, ma dal convoglio vengono fatte scendere
diciannove persone “non serbe”: un croato e diciotto musulmani-bosniaci. Gli
sventurati, una volta scesi dai vagoni, vengono derubati e abusati
fisicamente, come consuetudine delle Aquile bianche. Quindi vengono
fatti salire a forza su un camion e, condotti nei pressi del Vilina Vlas,
nella zona termale di Višegrad, vengono torturati tra i resti di una casa
bruciata da un rogo lungo la riva della Drina. Terminato il divertimento, tutti
vengono eliminati con un colpo alla testa e i loro corpi gettati nel fiume. I
loro resti non sono mai stati ritrovati. Dei trenta sospettati per questo
eccidio, al momento solo uno, Nebojša Ranisavljević da Despotovac è stato
condannato, nel 2002, dal tribunale di Bjelo Polje, a quindici anni di carcere
(condanna poi confermata in appello dalla Corte suprema del Montenegro
nell’aprile del 2004). Ranisavljević è stato rilasciato per buona condotta nel
2011 ed è tornato uomo libero. Nel 2014 sono poi stati arrestati altri quindici
presunti responsabili della strage, al momento ancora in attesa di sentenza
definitiva.”
Il
libro:
Titolo: Višegrad. L’odio, la morte, l’oblio
Autore: Luca Leone
€ 14,00 – pag. 208
Con il patrocinio di Amnesty International sezione italiana, Cisl Emilia Romagna, Iscos Emilia Romagna, Mirni Most
Titolo: Višegrad. L’odio, la morte, l’oblio
Autore: Luca Leone
€ 14,00 – pag. 208
Con il patrocinio di Amnesty International sezione italiana, Cisl Emilia Romagna, Iscos Emilia Romagna, Mirni Most
L’Autore
Luca
Leone (Albano Laziale, 1970), giornalista professionista, saggista, romanziere
e blogger, è laureato in Scienze
politiche. È direttore editoriale e co-fondatore della casa editrice Infinito
edizioni. Ha scritto per molte testate. Ha firmato una ventina di libri per più
editori; tra questi, per Infinito edizioni, ama ricordare: Srebrenica. I giorni della vergogna (2005);
Bosnia Express (2010);
Saluti da Sarajevo (2011); Mister sei miliardi (2012); Fare editoria (2013); I bastardi di Sarajevo (2014); Srebrenica. La giustizia negata (con
Riccardo Noury, 2015); Eden. Il paradiso
può uccidere (2016); Vai Razzo,
veloce e feroce (2016, con Giuliano Razzoli).
giovedì 22 febbraio 2018
In libreria il Rapporto 2017-2018 di Amnesty International
(€ 19,90 – pag.
608)
di Amnesty
International
Introduzione di Salil Shetty
“Siamo entrati nel 2018, 70° anniversario della Dichiarazione universale
dei diritti umani, eppure è fuori di dubbio che i diritti umani non possono
essere dati per scontati da nessuno di noi. Di certo non possiamo dare per
scontato il fatto di poterci riunire per protestare o per criticare i nostri
governi. Né possiamo dare per scontato che avremmo a disposizione un sistema
previdenziale quando saremo vecchi o invalidi; che i nostri bambini potranno
crescere in città con un’aria pulita e respirabile; o che, in quanto giovani,
lasceremo la scuola per trovare lavori che ci permetteranno di comprare una
casa.
La battaglia per i diritti
umani non è mai vinta definitivamente, in nessun luogo e in nessun momento
storico. I confini si spostano di continuo, per cui non c’è spazio per il
compiacimento. Nella storia dei diritti umani, questo non è mai stato più
chiaro di ora. Ma, dovendo far fronte a sfide senza precedenti in tutto il
mondo, le persone hanno continuato a dimostrare che la loro sete di giustizia,
dignità, uguaglianza non verrà spenta, trovando ancora modi nuovi e coraggiosi
per esprimere questo bisogno, spesso a caro prezzo. Nel 2017, questa battaglia
globale per i valori ha raggiunto un nuovo livello d’intensità”.
Con queste parole Salil
Shetty, Segretario generale di Amnesty International, presenta il Rapporto
2017-2018. La situazione dei diritti umani nel mondo, la nuova
edizione del rapporto annuale dell’organizzazione che si batte da quasi 60 anni
per la difesa dei diritti umani.
Il Rapporto
2017-2018 documenta la situazione dei diritti umani in 159 paesi e territori durante il 2017. Conflitti, misure di austerità e calamità
naturali hanno creato nel corso dell’anno che si è appena chiuso maggiore povertà e insicurezza per milioni di
persone, costrette a scappare dalle loro case e a cercare rifugio altrove,
all’interno dei loro paesi od oltre i confini nazionali. La discriminazione è diffusa in tutto il
mondo e talvolta ha avuto conseguenze mortali per le vittime. I governi di
tutti gli schieramenti hanno continuato a reprimere la libertà d’espressione, associazione e riunione, anche minacciando
e attaccando giornalisti, difensori dei diritti umani e attivisti per
l’ambiente.
Ancora
una volta, ovunque nel mondo sono emersi il coraggio e la determinazione di
milioni di persone che si sono impegnate contro le ingiustizie, per chiedere
che le loro voci fossero ascoltate e i loro diritti rispettati. Queste persone hanno
contribuito a ottenere giustizia per i crimini del passato e hanno ricordato
giorno dopo giorno alle autorità che dovranno rispondere delle loro azioni. C’è
ancora tanto da fare ma i progressi su tematiche come i diritti delle persone
Lgbti dimostrano quali risultati possiamo raggiungere quando c’impegniamo a
favore dei diritti umani.
mercoledì 21 febbraio 2018
I NOCCHIERI DELLE PAROLE - Roma, Venerdì 23/2/2018 alle 18,00
I
NOCCHIERI DELLE PAROLE
Roma, Venerdì
23/2/2018 alle ore 18:00
Spazio Curva Pura, Via Giuseppe Acerbi, 1A
Un anno fa, veniva a mancare Predrag
Matvejević, scrittore cosmopolita che da sempre ha messo il potere della sua
parola al servizio dell’impegno civile e di un’Europa senza frontiere, figlia
del logos Mediterraneo. Quindici anni
fa nasceva a Roma, dalle donne provenienti dai diversi paesi della Jugoslavia
di ieri, l’Associazione LIPA, impegnata da sempre per il dialogo tra le due
sponde dell’Adriatico. Nell’ambito della rassegna Mondo Ex, l’incontro “I nocchieri delle parole” è un invito a
riflettere sull’importanza della parola scritta, per comprendere al meglio la
complessità del mondo. Le parole - scritte e condivise a voce, lo strumento per
eccellenza per opporsi alle barbarie dell’ignoranza, dell’intolleranza e della
violenza.
In dialogo, i nocchieri delle parole
tra l’Italia e il Mondo Ex, ognuno con le proprie modalità di leggere, di
scrivere, di trasmettere, e di coinvolgere:
Luca Leone, editore, Infinito edizioni
Anita Vuco, traduttrice letteraria
e poetessa bilingue
Tommaso Di Francesco, giornalista de il manifesto
Fatima Neimarlija, mediatrice
culturale, Presidente dell’Associazione “Bosna u srcu”
Hanno in comune alcuni tratti: hanno conosciuto Matvejević e il loro lavoro serba le tracce del suo, usano la parola per
creare connessioni tra l’Italia e i Balcani e non si tirano indietro. Fare
cultura è una forma di impegno. Ascolteremo cosa orienta il loro impegno e cosa
propongono per fare breccia nell’indifferenza.
martedì 20 febbraio 2018
21 febbraio 2006, Višegrad: a L'Aja inizia il processo contro Milan Lukić
Višegrad è una cittadina della Bosnia orientale che ha vissuto, a partire dalla
primavera del 1992, sotto un regime del terrore e dell’orrore comandato da un
gruppo di paramilitari serbo-bosniaci sostenuti dall’esercito
serbo, guidato dai cugini Milan e Sredoje Lukić. I due si rendono
protagonisti, nel corso di quella terribile estate del 1992, di una serie di
episodi disumani, tra
cui l’uccisione a sangue freddo di sette musulmani-bosniaci,
i cui cadaveri vengono gettati nella Drina, e della combustione di cinquantacinque persone – tra
cui una neonata di tre giorni di vita – in una cantina di Pionirska ulica, nella quale i Lukić lanciano
ordigni incendiari alimentando poi le fiamme per ore
con la benzina. L’orrore continua con toni di questo genere per tutta
l’estate, finché la pulizia etnica ai danni dei musulmani-bosniaci –
che costituivano il 63 per cento della popolazione locale – viene portata a
termine con operazioni di rastrellamento, deportazioni e omicidi di massa di centinaia di civili all’interno di case private.
Circa tremila persone vengono uccise e fatte
scomparire. Il 21 febbraio 2006 Milan Lukić viene messo a disposizione
del Tpi, dopo essere stato catturato in Argentina, nell’estate del 2005. Lukić
viene condannato in via definitiva all’ergastolo nel dicembre del 2012.
martedì 13 febbraio 2018
“Fuga dalla Corea del Nord”, in equilibrio (instabile) lungo il 38° parallelo
In
questi giorni gli occhi del mondo sono puntati verso l’Asia, lungo la
direttrice del 38° parallelo, che negli anni ’50 rappresentava la linea di
confine tra la Corea del Nord e quella del Sud. La guerra, che prese avvio
nell’estate del 1950, fu uno degli esempi più eclatanti del periodo della
guerra fredda e sancì, al suo termine, la netta divisione tra le due Coree.
Un
fatto storico si è verificato durante la cerimonia di apertura dei XXIII Giochi
Olimpici invernali di Pyeongchang, in Corea del Sud,
quando gli atleti delle due Coree hanno sfilato insieme sotto un'unica
bandiera che rappresentava l'intera penisola. Il clima di disgelo è continuato
con una stretta di mano fra il presidente della
Corea del Sud Moon Jae-in e Kim Yo-jong, la sorella più giovane del leader
nordcoreano Kim Jong-un, che ha fatto il giro del mondo.
Fuga
dalla Corea del Nord, romanzo di Daniele Zanon appena uscito in libreria,
nasce dalla testimonianza (anonima per questioni di sicurezza) di un’operatrice
di un’organizzazione non governativa attiva nel campo della tutela dei diritti
umani. In questo libro si racconta di una rocambolesca fuga di un gruppo di ragazzi
in una comune di rieducazione, che s’intreccia con la deificazione della
famiglia al potere, quella dei Kim, l’onnipotenza dei militari e con lo strano
caso di una rara famiglia occidentale che risiede a Pyongyang. Con tratto lieve
e deciso l’autore tratteggia gli aspetti più dolorosi di una
dittatura sconosciuta ai più, definita dalle Nazioni Unite “un’unica grande
prigione”.
“Certi
libri hanno il potere di far entrare nella coscienza collettiva la
consapevolezza di un luogo o di una problematica. Mi auguro che Fuga dalla Corea del Nord faccia prendere
coscienza delle condizioni di vita del popolo nordcoreano, considerate dalle
Nazioni Unite fra le peggiori al mondo”. (Alex Zanardi)
Con
il patrocinio di Amnesty International
martedì 6 febbraio 2018
6 febbraio, Giornata Mondiale contro le Mutilazioni Genitali Femminili
Duecento milioni di bambine e ragazze in almeno trenta Paesi
nel mondo, tra le 61.000 e le 80.000 giovani nel nostro Paese, hanno subìto
mutilazione genitale femminili. Numeri spaventosi che, come ogni diritto
negato, non fanno rumore. La mutilazione genitale femminile non è solo un'emerita porcheria, ma è anche un crimine contro l'umanità, un crimine contro cui lottare senza sosta affinché finalmente scompaia e la salute sessuale e riproduttiva e la vita stessa delle bambine e delle donne che la subiscono non continui a essere messa a rischio da un fenomeno che è solo figlio di ignoranza, intolleranza e machismo.
In occasione del 6 febbraio, Giornata Mondiale contro
le Mutilazioni Genitali Femminili regaliamo un estratto della storia di Nice,
keniana coraggiosa, raccolta dalla penna sensibile di Emanuela Zuccalà in
Donne che vorresti conoscere
Per spiegare la rivoluzione che dal villaggio
masai di Nomayianat sta investendo l’intera area, Nice torna indietro di quindici
anni, quando lei era una piccola orfana terrorizzata che sgattaiolava fuori da
casa dello zio per scomparire sotto il grande albero nell’attesa che le luci
del giorno e l’eccitazione per la cerimonia facessero dimenticare la sua
assenza nel conteggio delle bambine da “tagliare”. Per due volte s’è sottratta
in questo modo all’emuatare, il sanguinoso e ineluttabile rito di passaggio
all’età adulta per le femmine, guidata solo da un istinto infantile impossibile
da addomesticare: «Sapevo che avrei pianto e gridato, condannando la mia
famiglia alla vergogna. Durante la circoncisione, le bambine masai devono stare
zitte e ferme sulla pietra, senza muovere neppure gli occhi, altrimenti nessuno
le vorrà in spose. Per questo sarei 88 fuggita all’infinito. Ma lo zio insisteva, così mi decisi ad
affrontare mio nonno, il capofamiglia: “Non voglio essere tagliata – gli dissi
– ho solo otto anni e, prima di diventare donna, devo finire la scuola”. Lui
era sbalordito ma era un uomo buono: finì per cedere alla mia insistenza».
venerdì 2 febbraio 2018
Matvejević, un anno fa la sua scomparsa
Il 2 febbraio del 2017 si spegneva a Zagabria lo
scrittore Predrag Matvejević, personalità altissima
della cultura e del mondo accademico non solo jugoslavo e balcanico ma di tutta
l’Europa. Nel giorno del primo anniversario della sua scomparsa citiamo un
breve estratto dalla prefazione di Luca Leone al libro dello scrittore Giacomo
Scotti, amico di una vita del professor Matvejević, dal titolo Matvejević e io, due marinai
La scomparsa di Predrag Matvejević lascia tanti vuoti. Già il suo forzato ritiro, negli ultimi anni di vita, a causa di un grave problema di salute, aveva evidenziato l’assenza di una personalità in grado di sostituirlo nel ruolo irraggiungibile che egli ha avuto non solo come narratore, ma anche come sensibile e metodico studioso di slavistica, adorato com’era dai suoi studenti. Come lui, solo Ivo Andrić e Miroslav Krleža – di cui Matvejević era stato amico, estimatore e biografo – hanno saputo dare alla letteratura degli slavi del sud nota in tutto il mondo quel tocco unico tale da renderlo un Grande alla pari dei Grandi.
Matvejević
era un uomo brillante, una brava persona, un amante della vita e un
intellettuale sopraffino. Abile e dolce narratore, robusto e sensibile
conferenziere, ha avuto, tra i pochi, il coraggio di affrontare da solo o
quasi, a petto nudo, l’oscurantismo becero e malevolo del contemporaneo
neofascismo in chiave croata pagandone personalmente le conseguenze per la sola
“colpa” di aver dato del talebano cristiano a un presunto intellettuale del suo
Paese fin troppo pedestremente schierato sulle posizioni del nuovo padrone al
comando. Un uomo coraggioso, dunque, che ha combattuto mille battaglie di
civiltà, non importa se vincendole o perdendole, ma che ha avuto il coraggio di
battersi sempre a viso aperto, sempre e solo schierato dalla parte di chi non
aveva voce, quando in tanti si nascondevano per non prendere posizione e
annusare il vento, nel suo Paese d’origine come altrove. (…)
Il
libro di Giacomo Scotti – questo ponderoso e profondo lavoro che state per
leggere – accende sulla persona e sull’opera dell’uomo e dello scrittore di
Predrag Matvejević una luce di verità. È, questo libro, la bussola che un
grande marinaio della scrittura, Giacomo Scotti, capitano ad honorem,
ha voluto donare in occasione dell’ultimo viaggio al suo amico di sempre e
immenso marinaio Predrag Matvejević, lasciando a tutti noi l’onore di salire su
una nave che non è di certo quella governata da Caronte nell’Ade, ma il sicuro
guscio di noce che, tra flutti e tante belle ma vacue sirene, ci accompagna
saldo e protettivo in un viaggio di conoscenza e di crescita intellettuale e
umana nella più grande letteratura dei nostri tempi e di sempre. Il lascito
artistico di Matvejević e l’omaggio coraggioso e alto di Scotti qui si fondono
per narrarci la vita e l’opera di un grande uomo, grazie alla penna ispirata e
schietta del suo più stimato e amato Amico di sempre.
Grazie
Giacomo. Grazie Predrag.
martedì 30 gennaio 2018
Vilina Vlas, l’hotel con spa di Višegrad mai chiuso
Recentemente, la stampa italiana si è “accorta”
di quel buco nero della storia che si chiama Višegrad, valle della Drina,
nella Bosnia orientale, e ha pubblicato articoli di diverso tenore. Qualcuno,
su un periodico sportivo, è arrivato a raccontare quel luogo, che è uno dei
centri dell’ultranazionalismo e del negazionismo serbo-bosniaco, come posto di
pace e di riappacificazione. Questo non sarebbe vero neanche se fossimo in un
romanzo di fantascienza, purtroppo. Altri hanno invece correttamente narrato le
vicende dell’hotel termale Vilina Vlas,
sempre a Višegrad, dimenticando però di citare la fonte da cui hanno tratto
ispirazione, ovvero il libro di Luca Leone Višegrad. L’odio,
la morte, l’oblio (Infinito edizioni, 2017), il primo mai
dedicato in Italia all’argomento. È un vero peccato, dimenticare di citare la
fonte di un’ispirazione. Un “peccato” tipico del giornalismo italiano.
“La ragazza è stata portata all’hotel Vilina Vlas, descritto dal governo
bosniaco-erzegovese come uno dei presunti hotel serbi dello stupro. Mersiha è
stata rinchiusa in una stanza, la sua amica in un’altra. La sorella più piccola
di Mersiha, Emina, è stata rinchiusa in una stanza dalla parte opposta della hall.
Poche ore dopo, Mersiha ha sentito la sorella lamentarsi e singhiozzare. Non
l’ha mai più vista. Il signore della guerra, Milan Lukić, ben noto da anni a
livello locale, è entrato nella stanza di Mersiha, ha messo un tavolino davanti
alla porta e le ha detto di spogliarsi. ‘Mi disse che se non avessi fatto
quello che diceva, non sarei tornata a casa’, ricorda Mersiha, parlando con
voce nervosa ma chiara. ‘A un certo punto me lo ha ordinato, di togliermi i
vestiti. Io non volevo. Ma lui mi ha detto che dovevo, che avrei fatto meglio a
spogliarmi, o lo avrebbe fatto lui e sarebbe stato violento”.
È uno dei tanti, terribili passaggi,
dell’articolo uscito il 27 dicembre 1992 sul Washington Post.
Il giornalista Luca Leone in Višegrad. L’odio,
la morte, l’oblio (Infinito edizioni, 2017) denuncia, nel
primo reportage pubblicato in Italia
sulle vicende di Višegrad e della Valle
della Drina, come tutti sapessero delle atrocità commesse all’interno del
Vilina Vlas, e, ciò nonostante si è
andati avanti ancora per almeno due anni, nella completa impunità per i cugini Milan e Sredoje Lukić e i loro soci – sanguinari paramilitari
serbo-bosniaci che, con le loro Aquile
bianche, hanno tenuto a lungo in ostaggio la cittadina della Bosnia
orientale. “Giovani. Belle. Se minorenni, chi se ne frega. Anzi, meglio. E,
naturalmente, non-serbe. Da fecondare con seme ariano. Puro seme nazionalista
serbo – continua la denuncia di Luca Leone. Circa duecento ragazze, le vittime.
Tante – secondo quanto stabilito dalla Commissione Bassiouni, voluta dal
Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nell’ottobre del 1992 – sono state
prelevate ovunque si trovassero e portate con la forza qui. Al Vilina Vlas.
Il centro termale mai chiuso, la località dalle perfette acque radioattive grazie a
speciali erbe che possono crescere solo in loco, in questo luogo baciato
dalla Natura e dannato per sempre dall’uomo.”
“Venticinque anni di silenzi complici, di rimozione, di inganni e
tradimenti. Di quel negazionismo spicciolo che si nutre di ‘letteratura’
cospirazionista e che, per mera affiliazione ideologica, ci spiega ogni tanto
con un post tradotto o scritto pure male, che è tutto falso”.
(Riccardo Noury)
Il libro:
Titolo: Višegrad. L’odio, la morte, l’oblio
Autore: Luca Leone
Titolo: Višegrad. L’odio, la morte, l’oblio
Autore: Luca Leone
€
14,00 – pag. 208
Con
il patrocinio di Amnesty International sezione italiana, Cisl Emilia Romagna,
Iscos Emilia Romagna, Mirni Most
lunedì 22 gennaio 2018
22 gennaio 2014, Višegrad: una pennellata di rossetto contro il negazionismo
Una stele di marmo bianco del cimitero
di Stražište diventa protagonista delle cronache balcaniche il 22 gennaio del
2014. “Quel giorno – racconta il giornalista Luca Leone in Višegrad. L’odio, la
morte, l’oblio –, un uomo con in
mano una semplice smerigliatrice orbitale, nonostante la presenza della polizia
sul posto, in pochi secondi s’è accanito su una parola – su quella sola – che
era stata scolpita sul cippo insieme ad altre. Tutte terribili. Quella parola
era pesante come piombo e andava a urtare coscienze forse non proprio
immacolate. Era la parola “genocidio”, scolpita in nome delle tremila vittime
della pulizia etnica portata avanti dai paramilitari in città. Pulizia che a
Višegrad ha di fatto dato luogo a un genocidio – mai riconosciuto come tale da
alcun tribunale nazionale o internazionale – perché coloro che non sono stati
ammazzati sono stati deportati oppure indotti a scappare e a non tornare più,
modificando per sempre la composizione demografica della città e di tutto il
territorio circostante”.
“Oltre ai poliziotti serbo-bosniaci – continua Luca Leone in Višegrad. L’odio, la
morte, l’oblio,
reportage frutto di un accurato
lavoro su campo – quel giorno c’erano anche tanti musulmani-bosniaci,
riunitisi per assistere all’ennesima offesa consumata ai danni di chi non c’è
più. Presente era anche il sindaco, Slaviša Mišković, che per nulla al mondo si
sarebbe perso lo spettacolo. “Non ci sono prove o sentenze di genocidio a
Višegrad. Avevamo ogni diritto di abbattere quel monumento, dato che è stato
edificato senza autorizzazione, ma ho deciso d’essere tollerante. Non abbiamo
problemi con quel monumento, il problema è la parola genocidio”, ha detto il
primo cittadino alla scarsa stampa presente, credendo che se la sarebbe cavata
così e avrebbe portato a casa questo atto di negazionismo senza doversene
pentire.
Se la vita è fatta di tanti piccoli
gesti eroici, una donna ha atteso che sindaco e poliziotti allentassero il
controllo. È entrata nel cimitero passando dalla stessa porticina di metallo.
Ha aperto la borsetta, estratto il rossetto e scritto nello stesso identico
spazio levigato poco prima dall’infreddolito operaio comunale una parola,
sempre la stessa, da ora ancor più pesante del piombo: “Genocida”,
genocidio. Successivamente qualcuno è tornato con un pennello e ha riscritto
quel termine, in corsivo maiuscolo, utilizzando vernice nera. E ogni volta che
qualcuno cerca di cancellarla, una mano torna a riscrivere la parola genocidio.
La stessa che ho trovato quando ho potuto ammirare la stele, fotografarla e ringraziare
Dio e quella donna per questo regalo, per questa vittoria della civiltà e della
creatività contro la forza bruta e il negazionismo”.
mercoledì 17 gennaio 2018
Tre amici, quelli di sempre, un "Invitato", Trieste, Vienna e la Pop Art
Infinito
edizioni segnala in libreria la novità
L’invitato
(€ 14 – pag 224)
(€ 14 – pag 224)
Di Massimiliano
Alberti
Introduzione di
Francesco De Filippo
Postfazione di
Alberto Panizzoli
Tre amici, quelli di sempre, Leo, Kevin e Tom, da Trieste, la loro città, si
ritrovano a Vienna per realizzare il progetto di Tom, la creazione di una
galleria dedicata alla Pop Art.
Leo –
vero protagonista del libro – vive la capitale austriaca intensamente, passando
dal ballo delle debuttanti a innamoramenti non corrisposti fino alla pesante
caduta in disgrazia senza mai abbattersi, neanche dopo le gaffes peggiori mai vissute.
Massimiliano Alberti in questo romanzo
frizzante dipinge un disilluso affresco della nostra società in una Vienna che
fa da cornice classica a uno stile… del
tutto Pop.
“Nell’atmosfera
asburgica Leo mulina supponenza e insolenza come se fossero una spada. E
pazienza se colpirà alla cieca: saccenti critici, arrampicatori sociali,
giovani e belle donne abbacinate dal lusso, ma anche gli amici di sempre,
fedeli maggiordomi, innocenti studentesse. Tutti fatti a fettine. A scatenare
il giovane è un disagio interiore, l’inadeguatezza etnica del disprezzato italiener al cospetto dell’aristocrazia
dell’aquila bicipite: illuminata ma irraggiungibile”. (Francesco De Filippo)
“Massimiliano Alberti non ha a disposizione
il rosso, il giallo, il verde o il blu… ma solo il bianco della carta e il nero
della sua penna. E i suoi dialoghi vivaci, ironici e a volte velati da una
certa melanconia, diventano figure colorate che esplodono nel nostro
immaginario. Forse, un altro sipario si apre al Neo-Pop”. (Alberto Panizzoli)
“Quello
di Alberti è un romanzo quasi teatrale, un caleidoscopio di maschere
esistenziali quotidiane sempre pronte a cadere ma che si rivelano, però,
terribilmente reali. L’autore sa bene, e lo dimostra, come nascondere la verità
e svelare la finzione” (The Leading Guy)
martedì 16 gennaio 2018
"Ho fatto centro": in libreria la biografia di Oscar De Pellegrin
Ho fatto centro
(€ 14 – pagine 168 pagine di cui 12 a colori)
(€ 14 – pagine 168 pagine di cui 12 a colori)
Di Oscar De
Pellegrin con Marco D’Incà e Francesca Mussoi
Prefazioni di Giovanni Malagò, Luca Pancalli e Mario Scarzella
Introduzione di Dario Ricci - postfazione di Silvano Cavallet
Prefazioni di Giovanni Malagò, Luca Pancalli e Mario Scarzella
Introduzione di Dario Ricci - postfazione di Silvano Cavallet
“Le barriere architettoniche si
abbattono con un secchio di calce…
Sono le barriere mentali quelle
difficili da abbattere”.
(Oscar
De Pellegrin)
Due minuti, centoventi interminabili e allo stesso tempo
velocissimi secondi, per caricare tre frecce sull’arco, mirare al centro del
bersaglio e colpire la parte più interna del giallo, il dieci. Ripetere
l’operazione per dieci volte e dieci volte ancora per concludere le due manches della gara olimpica di tiro con
l’arco. Tenere bloccata la mente solo sulla punta della freccia perfettamente
dritta nel centro, lasciando fuori ogni pensiero, ogni distrazione, ogni
suggestione che sposti qualche parte del corpo, anche di un solo millimetro.
Il tiro con l’arco è uno sport di sfida non solo con gli
avversari ma soprattutto con se stessi: Oscar De Pellegrin rappresenta un uomo
che lascia il segno e fa centro, nonostante le avversità della vita, o forse
proprio per la spinta innata che prova nel superarle. Avviato a una vita
ordinaria e probabilmente felice, sopravvive a un grave incidente sul lavoro ma
perde l’uso delle gambe. Si rimbocca le maniche, corona il suo sogno d’amore e
non si ferma più: scopre lo sport, fonda un’associazione, si schiera sempre
dalla parte di chi è meno fortunato e scopre nel tiro con l’arco una passione
viscerale, imprescindibile da tutto. Una passione che lo porta a confrontarsi
con tutti i suoi limiti, vecchi e nuovi, e a bruciare tutte le tappe di uno
sport difficile, tecnico e meraviglioso, fino a laurearsi Campione Paralimpico
sia a squadre che individuale. Plurititolato, protagonista di record italiani e
mondiali, tedoforo olimpico, recordman
iscritto nel Guinness dei Primati,
dopo il trionfo Paralimpico individuale Oscar si è messo a disposizione del suo
sport lavorando infaticabilmente per la Federazione italiana tiro con l’arco.
Oscar continua a fare centro, non si ferma mai e prova sempre ad andare oltre i
suoi limiti. Come gli suggerisce il cuore.
Il libro:
Titolo: Ho fatto centro
Autore: Oscar De Pellegrin, con Marco D’Incà e Francesca Mussoi
Titolo: Ho fatto centro
Autore: Oscar De Pellegrin, con Marco D’Incà e Francesca Mussoi
€
14,00 – pag. 168
Con
il patrocinio di CONI, Comitato Italiano
Paralimpico, Fitarco, Comune di Belluno, Associazione Sociale Sportiva Invalidi
(Assi) Onlus
lunedì 15 gennaio 2018
15 gennaio, Giornata Mondiale del migrante e del rifugiato
La
Convenzione di Ginevra del 1951 definisce profugo o
migrante forzato una persona che a causa di vari motivi legati a
condizioni politiche, socio-culturali, ambientali è costretto a scappare dal luogo
in cui vive abitualmente, senza però avere il diritto di presentare la
richiesta di asilo.
Secondo la Convenzione il termine rifugiato si applica a chiunque nel giustificato timore d'essere
perseguitato per ragioni di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a
un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche, si trova fuori dello
Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole
domandare la protezione di detto Stato; oppure chiunque,
essendo apolide e trovandosi fuori dei suo Stato di domicilio in
seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole
ritornarvi.
Solo lo scorso anno sono arrivati in Italia più
di 15.000 minori stranieri non accompagnati, ragazzini o anche spesso di età
molto giovane, che compiono viaggi pericolosi senza alcuna protezione da parte
dei loro genitori o di adulti di riferimento.
Per approfondimenti sul tema segnaliamo il
libro di Lucia De Marchi A
PICCOLI PASSI
martedì 2 gennaio 2018
Nuovo anno, nuova distribuzione: Infinito edizioni dal 1° gennaio in libreria con Messaggerie Libri
Con il nuovo
anno inizia una nuova fase per la nostra casa editrice, Infinito edizioni (www.infinitoedizioni.it)che corrisponde
all’ingresso dei nostri titoli in Messaggerie Libri, realtà storica della
distribuzione editoriale italiana. Siamo molto contenti di questo cambiamento
che porterà soddisfazione ai lettori che amano i nostri libri e ai librai che
credono nel nostro lavoro.
Con questo passo, si conclude il ciclo di cambiamenti annunciati alcuni mesi fa, iniziato con la firma della nostra casa editrice con Emme Promozione, gruppo Messaggerie, per la promozione dei nostri titoli; continuato con la messa online del nuovo sito Web; e culminato, appunto, con l'ingresso in Messaggerie Libri per la distribuzione.
Le novità di gennaio saranno disponibili in libreria dal 19-20 di questo mese, ma sono ordinabili fin da subito; gli ordini relativi agli approvvigionamenti del catalogo partiranno da domani e saranno disponibili in 24-48 ore dall'ordine dei lettori. Siamo molto contenti di tutto questo!
Auguri a tutti per un 2018 ricco di soddisfazioni e di lettura!
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