venerdì 21 aprile 2017

Višegrad, reazioni contro la croce della vergogna

Simboli religiosi, nazionali o d’altro genere non devono essere usati per alzare il livello di tensione tra i gruppi che costituiscono il mosaico bosniaco-erzegovese. Questa breve nota è stata diffusa dall’Ufficio dell’Alto rappresentante della comunità internazionale in Bosnia Erzegovina a proposito della croce alta cinque metri e mezzo e pesante 400 chili alzata a Višegrad lo scorso 6 aprile e inaugurata il successivo 12 aprile alla presenza del fior fiore dell’ultranazionalismo serbo e serbo-bosniaco.
A volere la costruzione della croce – sostenuta a pieno titolo dall’amministrazione locale – sono stati le organizzazioni dei reduci della zona, il cui intento era quello di approfittare del venticinquesimo anniversario dell’aggressione serbo-bosniaca contro la neo-nata Bosnia Erzegovina per celebrare i sette paramilitari russi (su 37 complessivi defunti nel conflitto) morti in città durante le operazioni di pulizia etnica ai danni dei musulmani-bosniaci. Nella guerra del 1992-1995 sono stati almeno 700 i “volontari” paramilitari russi che hanno combattuto a fianco dei loro simili serbi e greci per portare a termine la pulizia etnica ai danni di tutti i non-serbi. Alcune stime parlano però di un numero di russi ben maggiore.
Sempre a proposito della contestata croce eretta a Višegrad, si è espresso anche il noto giornalista bosniaco Aziz Tafro, che ha parlato apertamente di “provocazione”. Tafro ha ricordato che i 700 volontari russi erano arruolati in tre unità e hanno combattuto soprattutto nel territorio della Bosnia orientale, oltre che a Sarajevo. Tafro ha infine voluto ricordare che alcuni dei paramilitari russi che hanno combattuto in Bosnia sono al momento ancora attivi sia nel conflitto ucraino che nei Balcani, alla testa di unità specializzate nel fare il lavoro sporco sul campo. Alcuni di loro, infine, potrebbero anche essere andati a combattere in Siria.