martedì 22 novembre 2016

Accordi di Dayton, l’Alto rappresentante: “In Bosnia forze revisioniste”

In occasione del ventunesimo anniversario degli Accordi di Dayton – raggiunti nell’Ohio (Stati Uniti) il 21 novembre 1995 dopo tre settimane di trattative (1-21 novembre) e poi siglati il mese dopo a Parigi – durante un incontro pubblico l’Alto rappresentante della comunità internazionale in Bosnia Erzegovina, il diplomatico austriaco Valentin Inzko, ha dichiarato che “ventuno anni dopo Dayton ci sono ancora forze politiche all’interno del Paese che promuovono, ogni giorno, un’interpretazione revisionista degli Accordi di Dayton, in evidente contrasto con la Costituzione”, che è inclusa negli Accordi stessi. Inzko ha ricordato il discusso referendum tenutosi nella Repubblica serba di Bosnia (Rs) per fare del 9 gennaio la festa nazionale dell’Entità amministrativa nata nel 1992 e fondata sulla pulizia etnica del 1992-1995, ha fatto un passaggio interessante sulle polemiche ancora in atto dopo le elezioni amministrative di ottobre (con un ricorso legato al risultato di Srebrenica ancora in corso) ma ha in effetti concentrato la maggiore enfasi sulle forze revisioniste che lavorano giorno dopo giorno per spaccare il Paese. Se il pensiero di molti è andato, giustamente, all’atteggiamento arrogante e distruttivo del presidente della Rs Milorad Dodik, non diverso nella realtà è quello, nella Federazione di Bosnia Erzegovina (FBiH), del leader nazionalista musulmano Bakir Izetbegović, tra l’altro presidente della presidenza tripartita e da pochi giorni ex presidente della presidenza tripartita stessa. L’atteggiamento di Izetbegović e dei suoi accoliti fa pensare che l’universo nazionalista musulmano bosniaco abbia oramai sposato – grazie anche al sostegno turco – la dottrina di Izetbegović padre, ossia quella della “tazzina di caffè”, una Bosnia musulmana a tutti i costi, fosse anche solo grande, appunto, come una filđan. E intanto, sottotraccia, i croato-bosniaci tramano e continuano a inseguire il loro sogno tardo-ottocentesco di Grande Croazia, scambiandosi occhiolini col regine neo-ustaša croato e con la benedizione di una parte delle alte gerarchie ecclesiastiche cattoliche bosniaco-erzegovesi.
Insomma, per una volta Inzko e la comunità internazionale paiono aver visto bene e aver capito. Bisogna ora vedere se qualcuno a Bruxelles e al Palazzo di vetro di New York è davvero interessato al destino di questo disastrato Paese, o se le giuste osservazioni di Inzko sono destinate a sparire nelle nebbie rarefatte del Web…