giovedì 1 settembre 2016

Il destino della Bosnia appeso al più provocatorio dei referendum?

Se non vi saranno passi indietro dell’ultima ora – al momento ancora possibili, forse addirittura probabili – il prossimo 25 settembre il contribuente della Repubblica serba di Bosnia (Rs) vedrà sperperato il proprio denaro dal presidente-miliardario Milorad Dodik per il più assurdo, provocatorio e offensivo referendum mai proposto negli ultimi vent’anni dal tycoon amico di Vladimir Putin e di Silvio Berlusconi al suo popolo: l’istituzionalizzazione della data del 9 gennaio come festa nazionale, ovvero Giornata della Repubblica serba. Il 9 gennaio 1992 i serbi, guidati dal criminale di guerra Radovan Karadžić – come recentemente stabilito in primo grado dal Tribunale per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia – proclamavano la loro repubblica, mentre i primi scontri erano già in corso e di lì a poco l’aggressione armata serbo-bosniaca alla Bosnia Erzegovina sarebbe andata in scena. Riconoscere attraverso un referendum questa data come data fondativa della Rs avrebbe le seguenti conseguenze: rappresenterebbe un primo passo verso la proclamazione d’indipendenza di una entità amministrativa fondata sulla pulizia etnica e sullo stupro etnico; provocherebbe una profonda e pericolosissima destabilizzazione dell’intero spazio ex jugoslavo, che coinvolgerebbe in prima persona Serbia e Croazia, sempre più ai ferri corti e al contempo garanti degli Accordi di Dayton (che misero fine al conflitto del 1992-1995) e, dulcis in fundo, violerebbe gli Accordi di Dayton stessi e la Costituzione vigente, negli Accordi contenuta.

Ce ne sarebbe abbastanza affinché l’Alto rappresentante della Comunità internazionale in Bosnia Erzegovina cominci a pensare alla possibilità di rimuovere dal suo incarico Dodik, ma al momento la diplomazia europea, inclusa quella serba, sta cercando di sminare l’ennesima carica esplosiva deposta da Dodik proprio alle fondamenta di questa debole a problematica creatura chiamata Bosnia Erzegovina (tale perché, come tutte le creature, abbandonata dai suoi stessi genitori già nella culla). Due giorni fa anche il Consiglio che indica le linee guida del lavoro dell’Ufficio dell’Alto rappresentante e che controlla l’implementazione degli Accordi di Dayton si è espresso negativamente nei confronti del referendum e ne ha chiesta l’immediata revoca. Per tutta risposta, ancora una volta Dodik ha confermato la chiamata alle urne. Ora si aspetta una mossa da parte di Belgrado, la cui posizione rispetto alla Ue e alla richiesta di ingresso nell’Unione si complicherebbe non poco se Dodik, che è un protetto (per quanto molto scomodo) dell’attuale governo nazionalista serbo, non accettasse di mettere fine all’ennesima provocatoria alzata di testa.

C’è ancora tempo, ma per la Bosnia Erzegovina le prossime tre settimane rischiano d’essere molto pesanti e potenzialmente drammatiche se la lenta e goffa diplomazia europea non riuscirà a risolvere questo non indifferente problema.