lunedì 1 agosto 2016

Salone del libro: tre domande e tre risposte sullo spostamento da Torino a Milano

Sollecitato da un collega giornalista a proposito della questione dello spostamento del Salone del libro da Torino a Milano, ho risposto così per iscritto alle due tre domande e mi fa piacere condividerle con chi vorrà brevemente leggere:

1) Nel 2017, programmerete di partecipare sia al Salone del Libro di Torino che a quello, nascente, di Milano? Optereste per uno dei due? O - per chi ha disertato le edizioni del Salone di Torino - eviterete entrambi?
R. Se ci fosse garanzia di serietà, attenzione per le esigenze e le aspettative degli editori, maggior rispetto per il pubblico e per i piccoli editori e dei costi più accessibili e meno offensivi, torneremmo volentieri a Torino dopo quattro anni di assenza per protesta contro “quel” Salone e quegli organizzatori. Non ci interessa al momento il nuovo Salone milanese, al quale preferiamo senza dubbio BookPride, essendo noi soci Odei della prima ora e assolutamente fedeli al messaggio culturale e sociale di BookPride.

2) Cosa vi ha deluso del Salone del Libro di Torino? Quali sono i suoi limiti? Cosa cambiereste e proporreste per migliorarlo e innovarlo, non solo in relazione al soddisfacimento delle esigenze degli editori ospitati, ma anche all'arricchimento culturale dei visitatori?

R. Il Salone di Torino era diventato semplicemente una scatola vuota di contenuti per mungere piccoli e medi editori e visitatori, oltre ad aver assunto in certi momenti l’aspetto di un suq più che di un Salone internazionale del libro. Il nuovo Salone del libro di Torino per diventare interessante dovrebbe tornare a concentrare l’attenzione sul libro, sulla sua filiera, sui contenuti e sui lettori, che non devono e non possono continuare a essere considerati solo per il denaro che possono portare ma per i contenuti e le esigenze di cui sono essi stessi portatori. La persona e i contenuti dunque dovrebbero essere rimessi al centro, senza dubbi e con la massima urgenza. Lo diciamo da anni e anni, ma quando sei piccolo e non frequenti per scelta salotti milanesi e romani, non hai voce.

3) Grandi eventi come questo, secondo il vostro punto di vista, rappresentano davvero un arricchimento dell'offerta culturale italiana, a parte o nonostante le esigenze di ritorno economico e di immagine?
R. Il Salone del libro di quindici o vent’anni fa rappresentava davvero un viaggio alla scoperta di un mondo magico, almeno apparentemente tale. Quello degli ultimi dieci anni decisamente no.  “Piùlibri piùliberi” a Roma, iniziativa sempre organizzata dall’Aie, sta seguendo la stessa triste china e sta esaurendo (se già non ha esaurito) ogni attrattiva e forza perché si è appunto trasformato in una mera macchina per fare soldi a scapito di piccoli e medi editori e lettori. Se si torna a mettere al centro i contenuti e i lettori, è inevitabile che anche i conti quadrino, alla fine. Se si punta solo a fare denaro, alla fine la fragilità di queste macchine per fare soldi escono fuori e fanno sì che l’intero sistema tracolli. Occorre recuperare etica ed equilibrio, centrali quando si parla di cultura. L’Aie, quest’Aie, non è all’altezza di questo compito, non lo è da anni. Evidentemente serve che nuovi soggetti, con nuovo entusiasmo e nuovi stimoli, scendano in campo per evitare che la cultura in Italia resti una parola vuota usata solo da qualche grande editore e dal sistema industriale e bancario per fare soldi.