sabato 9 luglio 2016

Srebrenica, tutto era morte, abbandono, lutto

Oggi chi visita Potočari si reca in un luogo quasi perfetto nella sua solennità intrisa di dolore. Un luogo che invoca silenzio, pietà e comprensione. Un cimitero quasi museale, con migliaia di stele per­fettamente ordinate e solenni a disegnare un piccolo bosco di bonsai bianchi immobili anche quando soffia il peggior vento. A quel tem­po non c’erano stele di marmo bianco. C’erano solo tavole di legno verde e fango. L’erba era poca e si camminava su una terra argillosa e appiccicosa che sembrava non volesse lasciarti andare via. Su due o tre tombe qualcuno aveva portato dei fiori di plastica. Su uno spa­ruto numero di altre c’era qualche fiore piantato, piuttosto provato, talvolta una piantina striminzita. I musulmani in circolazione erano pochissimi. Giravano molte persone armate e di notte era raccoman­dabile non farsi vedere. Ancora oggi è meglio cambiare strada, se hai la sfortuna d’incontrare qualcuno di quelli che ha torturato, stuprato e ammazzato, rigorosamente a piede libero. C’era un solo bar aperto e un microscopico negozio di alimentari. Tutto era buchi di mitra­gliatrice e di mortaio. Tutto era morte, abbandono, lutto.