venerdì 30 ottobre 2015

Bosnia, ancora scheletri dall’inesauribile fossa comune di Prijedor

Si chiama Jakarina kosa. Prima della guerra del 1992-1995 in questo villaggio non lontano dalla martoriata città di Prijedor, nella Bosnia occidentale, c'era una miniera. Oggi quella stessa miniera è una fossa comune. Una fossa infinita. Pensate che nel 2001, sei anni dopo la fine della guerra, da questa fossa vennero estratti gli scheletri di 373 persone, 311 delle quali riconosciute attraverso il test del Dna e civilmente sepolte. Dallo scorso 6 luglio gli esperti hanno ricominciato, 14 anni dopo, gli scavi nello stesso identico sito, estraendone, a oggi, i resti di altre 622 persone, solo due dei quali completi. Si tratterebbe – ma sarà poi l’esame del Dna a doverlo confermare – di resti di croato-bosniaci e di bosniaci musulmani ammazzati e fatti sparire dalla soldataglia serbo-bosniaca e dai paramilitari serbi nell’estate del 1992, nei primi mesi del conflitto. Stiamo evidentemente parlando di una gigantesca fossa comune secondaria, nella quale sono stati sversati, chissà esattamente quando, parte dei resti di una più grande fossa comune primaria, quella di Tomašica, non lontano villaggio della municipalità di Prijedor, dalla quale nel 2013 sono state esumate le spoglie di 435 persone, ma solo 275 di esse presentavano i corpi ancora integri.
In Bosnia Erzegovina mancano ancora all’appello poco meno di ottomila persone, scomparse da oltre vent’anni e sepolte chissà dove. Manca all’appello anche la giustizia. Quella è sepolta in fondo agli interessi dei politici e difficilmente uscirà fuori dalla bara ben chiusa delle loro coscienze.