Si
chiama Jakarina kosa. Prima della guerra del 1992-1995 in questo villaggio non
lontano dalla martoriata città di Prijedor, nella Bosnia occidentale, c'era una miniera. Oggi quella stessa miniera è
una fossa comune. Una fossa infinita. Pensate che nel 2001, sei anni dopo la
fine della guerra, da questa fossa vennero estratti gli scheletri di 373
persone, 311 delle quali riconosciute attraverso il test del Dna e civilmente
sepolte. Dallo scorso 6 luglio gli esperti hanno ricominciato, 14 anni dopo,
gli scavi nello stesso identico sito, estraendone, a oggi, i resti di altre 622
persone, solo due dei quali completi. Si tratterebbe – ma sarà poi l’esame del
Dna a doverlo confermare – di resti di croato-bosniaci e di bosniaci musulmani
ammazzati e fatti sparire dalla soldataglia serbo-bosniaca e dai paramilitari
serbi nell’estate del 1992, nei primi mesi del conflitto. Stiamo evidentemente
parlando di una gigantesca fossa comune secondaria, nella quale sono stati sversati,
chissà esattamente quando, parte dei resti di una più grande fossa comune
primaria, quella di Tomašica, non lontano
villaggio della municipalità di Prijedor, dalla quale nel 2013 sono state esumate
le spoglie di 435 persone, ma solo 275 di esse presentavano i corpi ancora
integri.
In
Bosnia Erzegovina mancano ancora all’appello poco meno di ottomila persone,
scomparse da oltre vent’anni e sepolte chissà dove. Manca all’appello anche la
giustizia. Quella è sepolta in fondo agli interessi dei politici e
difficilmente uscirà fuori dalla bara ben chiusa delle loro coscienze.