venerdì 24 luglio 2015

#MeseDellaMemoria: Srebrenica vent’anni dopo/19 - La diplomazia e i diritti umani

Diplomazia. È una parola che ho cominciato a conoscere, nel suo vero significato, nei primi anni '90. Ne ho avuto l'occasione durante la militanza in Amnesty International, quando parlavo con diplomatici che mi spiegavano cosa occorreva fare per difendere i diritti umani. Non ci si doveva scontrare apertamente, mettendo in imbarazzo gli interlocutori. Molto meglio scambiare le idee in modo informale, nei corridoi dei palazzi delle organizzazioni internazionali, dove c'era l'occasione di mettere una parola buona per quel o quell'altro prigioniero per motivi di opinione.
Per ottenere risultati, mi spiegavano con la pazienza che ci vuole nei confronti di un ragazzino dalle buone intenzioni ma poco avvezzo alle cose del mondo, bisogna intrattenere buoni rapporti con tutti. Elencare i politici europei - anche italiani - che con Milosevic hanno tenuto buoni rapporti, nel corso degli anni, richiederebbe tempo e spazio. Per ricordare dove ha portato, quella diplomazia, basta un nome: Srebrenica.
Assistere ai massacri come quello avvenuto l'11 luglio 1995 oppure scatenare guerre dalla dubbia efficacia come quella per il Kosovo di quattro anni dopo. Pare che le diplomazie europee non conoscano vie di mezzo. Se a vent'anni di distanza dal genocidio di Srebrenica passasse l'idea che difendere i diritti umani è il modo migliore per prevenire massacri e che difendere i diritti umani significa impegnarsi con coraggio e serietà tutti i giorni, e non nei corridoi dei palazzi abitati dai diplomatici, allora questi decenni non sarebbero passati invano.

Daniele Scaglione