mercoledì 15 luglio 2015

#MeseDellaMemoria: Srebrenica vent’anni dopo/12 - Yolande Mukagasana

L’incontro delle memorie a Srebrenica

Giunta a Srebrenica, la mia prima sorpresa è stato l’odore di morte. Ho avuto l’impressione di sentire la fossa comune allo stesso modo di quando ne apriamo una in Rwanda. Forse è perché sapevo quanto vi era accaduto. La notte non sono riuscita, senza una ragione, a dormire.
Una situazione strana. Nessun ragazzo gioca nelle strade di Srebrenica nonostante ci sia un tempo splendido.
Nel 1995 sono stati uccisi tutti gli uomini e i ragazzi musulmani dai 12 anni in su. Alcuni sopravvissuti non sono più ritornati. Dovunque ci sono rovine come nel Rwanda proprio dopo il genocidio.
La sofferenza non ha altro colore di pelle che il suo.
La sofferenza non ha altra lingua che la sua.
Quando ho incontrato le madri di Srebrenica, ho visto il loro dolore, ho visto il mio attraverso i loro occhi disperati: noi abbiamo comunicato così! Loro parlano bosniaco e io parlo francese. Abbiamo pianto insieme. Abbiamo condiviso la nostra sofferenza, le nostre ferite e ci siamo subito capite.
Mi pongo domande in modo ancora più forte di quanto me le ponga sul Rwanda. Nel Rwanda esiste un abbozzo di giustizia. Non è tutto perfetto. Ma almeno le forze che hanno pianificato il genocidio non governano più nel Rwanda. Anche se lo Stato è originariamente responsabile del genocidio, ora non è più governato dagli stessi individui che ho visto brandire armi da fuoco e machete, né la stessa ideologia di allora dirige il Paese. Il nuovo governo del Rwanda ha richiesto un tribunale penale internazionale e l’Onu l’ha istituito. Questo tribunale ha almeno il merito di esistere, anche se non mi soddisfa, ma i carnefici non dormono tranquilli là dove si sono sottratti alla giustizia, fuggendo attraverso il mondo. Hanno cambiato talvolta i loro nomi e le loro identità per camuffarsi. C’è però una giustizia da qualche parte, anche se ciò non serve a niente a noi, alle vittime.
A Srebrenica è differente. Dalle testimonianze risulta la prova che il Potere pensava di massacrare i musulmani fino all’ultimo. Ma alcune vittime sono riuscite a fuggire fino a Tuzla. È per questo che io do ragione ai miei antenati che hanno detto: ”Nessuno può sterminare un popolo”. Vi è sempre qualche sopravvissuto (Ntabapfira gushira).
Almeno in Rwanda abbiamo una forza positiva che ha fermato il genocidio, ma questo non è successo a Srebrenica. Ho appreso che alcune vittime che sono sopravvissute hanno trascorso sei mesi nella foresta senza rendersi conto che i massacri erano cessati. Hanno continuato a fuggire affamate e assetate.
Da noi durante il genocidio, anche se i caschi blu dell’Onu non hanno fatto niente per arrestare i massacri, non ci hanno fatto del male prima dell’arrivo della missione umanitaria francese. A Srebrenica è stato ancora differente. I caschi blu avrebbero violentato le donne che si erano rifugiate da loro. Per me, è fuggire la morte verso la morte! I caschi blu avrebbero dato le armi al potere sterminatore!
Non capisco perché nessuno vuole ricostruire Srebrenica.
Non capisco perché nessuno fa giustizia nei confronti di un crimine di genocidio riconosciuto dalla giustizia internazionale. Dopo un simile crimine le potenze non vogliono che la giustizia sia fatta, ma quando si verificano gli tsunami tutti si precipitano perché questi non pongono il problema delle responsabilità umane.
Quale disperazione per le vittime vedere che il potere, che ha pianificato ed eseguito i massacri dei musulmani di Srebrenica, è lo stesso che governa ancora e che dovrebbe rendere loro giustizia!
Impensabile, inimmaginabile, disgustoso!
E ogni pretesto è buono per colpire l’Afghanistan, l’Iraq, presto si colpirà l’Iran e, ancora come al solito, i piccoli pagheranno per i grandi.

Yolande Mukagasana
sopravvissuta al genocidio in Rwanda