lunedì 25 maggio 2015

26 maggio 2011, l’arresto di Ratko Mladic

Martedì 26 maggio ricorre il quarto anniversario dell’arresto di Ratko Mladić, generale e capo di stato maggiore dell’esercito dell’autoproclamata Repubblica Serba di Bosnia (Rs) durante la guerra del 1992-1995. Mladić era stato fermato dopo 16 anni di latitanza nel villaggio di Lazarevo, nel nord della Serbia e, nonostante fosse ricercato dal Tribunale per i crimini di guerra nell'ex-Jugoslavia (Tpi) con le accuse di genocidio, crimini contro l'umanità, violazione delle leggi di guerra durante l'assedio di Sarajevo e per il genocidio di Srebrenica, godeva della protezione e persino della pensione militare da parte dello Stato serbo.Il processo di primo grado presso il Tpi è ancora in corso e si auspica che il verdetto possa arrivare entro la fine del 2015. Al momento, è previsto che il Tpi chiuda i suoi lavori alla fine del 2017.Lo stupro etnico, una delle colpe di cui si è macchiata la soldataglia agli ordini di Mladic, viene raccontato in questo breve brano tratto da “Srebrenica. La giustizia negata” di Luca Leone e Riccardo Noury.
“Tra il 2005 e il 2014, i tribunali locali hanno esaminato solo cin­quanta casi di stupro. Un numero irrisorio. La giustizia è dunque una chimera. Nonostante sia ciò da cui poter davvero ripartire. Lo spiega bene ‘Aida’: “Il mio più grande desiderio è che lo arrestino. In quel momento sarò felice. Non riesco a vivere normalmente finché non accade. Quella persona è responsabile di tutto ciò che di negativo è accaduto nella mia vita. È entrato in casa nostra. Mi ha presa davanti ai miei genitori e mi ha portato in una stanza dove mi ha violentata. Poi ha legato le mani di mio padre con un laccio e lo ha portato via. Infine, ha incendiato la nostra abita­zione. Ogni giorno è peggio. Non riesco a cancellare niente dalla mia memoria, se non lo arrestano”.Secondo Luca Leone, autore di ben sette libri (sei dei quali per la Infinito edizioni) sulla Bosnia Erzegovina, due dei quali dedicati al genocidio di Srebrenica (“Srebrenica. I giorni della vergogna” e “Srebrenica. La giustizia negata”), “è difficile, se non impossibile, pensare al momento che entro il dicembre del 2017 si arrivi alla lettura della sentenza di secondo grado nel processo contro Mladić. Il pessimismo deriva dal fatto che il procedimento contro l’altro grande accusato, l’ex presidente serbo-bosniaco Radovan Karadžić, è in corso da ormai sette anni e non si è ancora arrivati a sentenza di primo grado. La condanna di Mladić sembrerebbe scontata, viste anche le due sentenze del Tpi (2001 e 2004) ai danni del numero due a Srebrenica di Mladić, ovvero Radislav Krstić, condannato sia in primo che in secondo grado (prima a 46, poi a 35 anni di reclusione) per il genocidio di Srebrenica. È però difficile poter avere certezze al momento sulla condanna di Mladić poiché la giurisprudenza del Tpi ultimamente sembra cambiata nel senso di attribuire il grosso delle responsabilità a chi fece le scelte politiche, sgravando, incredibilmente, di colpe gli esecutori militari e materiali di quelle decisioni. Per questo e per tanti altri motivi la condanna di Mladić, che pure sembra una formalità, non potrà essere data per scontata fintantoché non si arrivi a sentenza di secondo grado. Ma, ripeto, è impensabile, al momento, che questo avvenga entro la fine del 2017. E se la parola dovesse passare ai tribunali bosniaci è probabile che giustizia, visto lo stato pietoso in cui versa la giustizia in Bosnia Erzegovina, non sarà mai fatta”.