martedì 31 marzo 2015

Šešelj, la giustizia e il Tpi dell’Aja: storia di furbi, perdenti e patetici fessi


“Non tornerò di certo all’Aja di mia spontanea volontà!”. Con queste parole il pluri-incriminato serbo Vojislav Šešelj, leader dell’ultranazionalista Partito radicale serbo (Srs), ha risposto ai giudici del Tribunale penale per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia (Tpi) che gli intimavano di rientrare in cella dopo la scarcerazione provvisoria ordinata dallo stesso Tpi lo scorso novembre per motivi di salute.
I giudici del Tpi hanno ordinato infatti “alla corte di annullare immediatamente il provvedimento di libertà provvisoria disposto a favore di Šešelj e il suo ritorno nell’unità detentiva dell’Onu” all’Aja, si legge in un comunicato emesso dal Tribunale internazionale. Peccato che Šešelj abbia reagito come sopra, aggiungendo: “Questa decisione non mi riguarda”.
Quella di Šešelj è, in sostanza, una sfida lanciata ancora più che al morbido, anzi molle, Tpi, al governo serbo. Governo di destra e nazionalista, ma non gradito a Šešelj in quanto non abbastanza radicale. Šešelj e i suoi supporter dell’estrema destra serba vogliono tastare il polso al governo del presidente Nikolić e vedere se questi avrà il coraggio di far arrestare il leader ultranazionalista per farlo estradare nel luogo che gli compete, ovvero una cella olandese.
Šešelj era stato liberato lo scorso novembre per permettergli di curarsi un cancro al colon. L’uomo – accusato di omicidio, atti inumani, persecuzioni per motivi politici, razziali e religiosi, sterminio e attacchi contro civili in Bosnia Erzegovina, in Croazia e nella regione serba della Vojvodina, per oltre dieci anni deputato dell’Assemblea nazionale serba e di quella federale della Repubblica jugoslava, vice primo ministro serbo dal 1998 al 2000 e sindaco di Zemun dal 1996 al 1998 – era stato estradato all’Aja il 24 febbraio 2003 ed è in attesa della sentenza del Tpi dal marzo del 2012. Appena rientrato a Belgrado era stato accolto da scene di giubilo e da subito si era lasciato andare alle intemperanze verbali che gli sono note e proprie. Dopo l’intervento chirurgico al colon non si è fatto sfuggire l’occasione di attaccare ripetutamente il governo serbo in carica e i giudici internazionali ed è arrivato, la scorsa settimana, partecipando ad alcune manifestazioni dell’ultradestra serba in occasione del sedicesimo anniversario dall’inizio dei bombardamenti della Nato sul Kosovo e su Belgrado, a bruciare bandiere della Nato, dell’Unione europea, degli Stati Uniti e del Kosovo.
È evidente che Šešelj non tornerà mai di sua spontanea volontà in Olanda. Così come è altrettanto evidente che questa è l’ennesima pessima figura del Tpi e dei suoi giudici, troppo laschi con gli imputati ma inflessibili con le vittime. Non è male che i giudici del Tpi facciano, una volta di più, la figura dei fessi. Le donne di Srebrenica, quattro mesi or sono, avevano paventato il pericolo che Šešelj si rendesse uccel di bosco, ma non serviva avere capacità di preveggenza per capire che sarebbe andata come sta andando.
Vedremo come andrà a finire. Ma amministrare così la giustizia fa male a sicuramente a tutti, in primis alla giustizia stessa, non solo alle vittime di personaggi del calibro Šešelj, e qualche dimissione eccellente all’Aja e dintorni non rappresenterebbe di certo un cattivo segnale. Almeno nei confronti di chi aspetta giustizia da vent’anni per le malefatte di personaggi che hanno la possibilità di scorrazzare ancora in lungo e in largo, con le loro idee malate e razziste, in giro per l’Europa.