venerdì 10 ottobre 2014

Domenica la Bosnia al voto, un piccolissimo vademecum


Domenica 12 ottobre i bosniaci residenti in patria e all’estero sono chiamati a eleggere i tre presidenti della presidenza tripartita, il parlamento nazionale, i presidenti e i vicepresidenti delle due Entità (Repubblica serba di Bosnia e Federazione di Bosnia Erzegovina), i rispettivi parlamenti, oltre che i parlamenti e i governi dei dieci Cantoni che costituiscono la Federazione di Bosnia Erzegovina. Un tremendo guazzabuglio creato a Dayton e lasciato in eredità a un Paese prostrato dalla guerra del 1992-1995 e mai più ripresosi.
Gli aventi diritto in patria sono circa 3,2 milioni, cui si aggiunge circa un altro milione all’estero. Atteso – e benedetto dai partiti nazionalisti – un ampio fenomeno di diserzione delle urne, come nelle cinque occasioni precedenti in cui sono stati rinnovati gli organi di cui sopra, per tacere del crollo di affluenza alle amministrative. Nel 2012, per fare un esempio, ha votato il 45 per cento scarso degli aventi diritto.
I partiti che hanno presentato candidati sono ben 65, molti dei quali riuniti in ben 24 coalizioni.  Per la sola presidenza tripartita i candidati sono 17: dieci musulmani bosniaci per la poltrona a loro riservato da Dayton, quattro croati-bosniaci e tre serbo-bosniaci.
Oltre all’astensionismo, attesa una grande frammentazione del risultato, il che potrebbe portare a tempi molto lunghi, come quattro anni fa, per la formazione di un governo: allora servì circa un anno e mezzo.
Tra i candidati alla presidenza molta attenzione è concentrata su un elemento di disturbo per l’establishment musulmano e per le lobby di potere come l’ex giornalista Emir Suljagic, sopravvissuto al genocidio di Srebrenica, esponente del Fronte democratico e ministro uscente del Cantone di Sarajevo, dove ha presentato una proposta che ha fatto molto discutere, ovvero l’eliminazione del voto in religione dal novero dei voti destinati a determinare la media scolastica degli allievi. La proposta, manco a dirlo, è stata ampiamente osteggiata dall’Ulema Mustafa Ceric, potentissimo esponente conservatore che spera di catalizzare i voti dei praticanti musulmani. Chi vota per lui, probabilmente spera nella trasformazione della Bosnia in uno Stato confessionale, il che sarebbe un disastro nel disastro. Inutile dire che un’affermazione del Fronte democratico, purtroppo molto difficile, rappresenterebbe un elemento di rottura notevole e affascinante in uno scenario decadente, mummificato e non di rado criminale come quello della politica bosniaca.