La
campagna elettorale bosniaca – che s’annuncia piuttosto elettrica e cattiva – per
il voto (parlamenti e presidenti della presidenza Tripartita) del prossimo 12
ottobre 2014 è partita formalmente la scorsa settimana. Solo la faccia tosta
dei politici bosniaci ha potuto far sì che si ricominciasse a fare promesse a
vanvera, quando le statistiche dicono che sono state mantenute forse neanche il
3 per cento della promesse fatte nella precedente tornata di voto nazionale e
il Paese sta ancora lottando contro il fango e i danni enormi delle alluvioni
di maggio e di settembre.
Come
in un copione che sembra già scritto, non poteva che essere il presidente della
Repubblica serba di Bosnia (Rs), una delle due entità in cui la Bosnia
Erzegovina è stata malauguratamente suddivisa dagli Accordi di Dayton, ovvero
il nazionalista populista e amico di Vladimir Putin, il miliardario Milorad
Dodik, a mettere a segno il primo colpo. Un colpo sotto la cintura e, naturalmente,
all’insegna dello sfaldamento del Paese e della da lui sempre auspicata
secessione.
Dodik, infatti, in visita a Mosca con il cappello in mano – come di
consueto – in compagnia del primo ministro della Rs, Zaljka Cvijanović, ha
firmato con il gigante russo degli idrocarburi, Gazprom, un accordo che, per la prima volta, e in barba alle
decisioni del parlamento nazionale bosniaco, prevede la fornitura diretta di
gas alla sola Rs, bypassando la Bh Gas
di Sarajevo, che finora aveva sempre fatto da intermediario nell’acquisto del
gas russo. Ciliegina sulla torta, il gas sarà venduto da Gazprom, in virtù della salda amicizia tra lo zar Putin e lo zarino
Dodik, a prezzo ribassato. Il colpo elettorale è evidente: con la crisi ukraina
che si prolungherà lungo tutto l’inverno 2014-2015, e con il sempre esistente
pericolo di taglio delle forniture verso l’Europa, e considerando che la
bolletta energetica bosnaica è da anni in passivo verso Mosca, Dodik non solo
garantisce ai suoi elettori di potersi scaldare comunque, anche se dovesse
infuriare la guerra, ma anche di poterlo fare forse a un prezzo più basso.
Difficilmente
l’accordo sarà ratificato dal parlamento nazionale bosniaco uscente, ma è certo
che Dodik non si farà fermare dall’ostracismo del potere centrale, poiché l’accordo
sul gas è solo uno dei capisaldi della rinnovata amicizia tra i potenti di
Russia e della Repubblica serba di Bosnia. Gli altri capisaldi passano
attraverso la continuazione degli investimenti russi nella storica raffineria
di Bosanski Brod, che qualche anno fa Dodik ha praticamente regalato a un
oligarca amico di Putin, e attraverso la decisione di far passare attraverso la
Rs un ramo del gasdotto South Stream.
A questo si aggiunga, per concludere, un prestito di 76 milioni di dollari
accordato dalla banca russa VTB,
sempre grazie ai buoni uffici di Putin, alle casse serbo-bosniache piuttosto a
secco.
Dodik
sta, in sostanza, avviando una secessione “morbida”, con lo scopo di mettere
Bosnia, Europa e mondo davanti al fatto compiuto. La via maestra, per Dodik e
Putin, è quella ukraina, oramai è fin troppo chiaro, e da un momento all’altro
in molti si aspettano uno strappo, che tanto per cambiare troverà l’Europa
impreparata e divisa e gli americani indecisi sul da farsi. Vedremo. Come anche
fino a che punto Turchia e Croazia saranno disposte ad arrivare essendosi,
negli ultimi anni, promosse palafine dell’unità bosnaico-erzegovese.
Questo
modo di fare politica non deve sorprendere. Se volete capire cosa esattamente
succede da quelle parti, e quali sono le modalità malate e violente che
caratterizzano la politica bosniaca e i loro tristi attori, non dovete fare
altro che comprare e leggere I BASTARDIDI SARAJEVO, in uscita a metà ottobre nelle librerie italiane, ticinesi e
online.