Circa 300 donne sopravvissute al genocidio di Srebrenica (11-16 luglio 1995) hanno intentato una causa contro lo Stato olandese. La causa partiva da questo presupposto: dei 25.000 cittadini di Srebrenica sfollati l’11 luglio a piedi a Potočari – località a circa cinque chilometri da Srebrenica in cui era collocata la base dei caschi blu olandesi, detta compound – circa 5.000 avevano potuto trovare posto nel compound olandese e nella congiunta fabbrica elettromeccanica; tutti gli altri erano rimasti fuori, nel grande prato in cui oggi sorge il Memoriale di Potočari, alla mercé del generale serbo-bosniaco (sotto processo all’Aja, ma presso il Tribunale per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia – Tpi) Ratko Mladić e delle belve militari e paramilitari serbe al suo comando. Dopo aver rastrellato i maschi dai 12 ai 76 anni e le donne più giovani tra i ventimila rimasti all’esterno, i criminali agli ordini di Mladić ottenevano dal comandante dei caschi blu olandesi, il baffuto colonnello Ton Karremans, l’ok per compiere la stessa orribile operazione tra i cinquemila all’interno del compound. Tra le persone rastrellate, figurano persino interpreti e collaboratori bosniaci dei caschi blu e i loro famigliari, a dimostrazione del fatto che i soldati olandesi agli ordini di Karremans abbandonarono completamente i civili musulmani alla mercé della soldataglia serba. Ciò detto, lo Stato olandese è stato ritenuto semplicemente responsabile di non aver permesso a quelle persone, attraverso i suoi caschi blu, di restare nel compound, e non di averle consegnate ai loro assassini, come invece hanno sempre ritenuto le donne di Srebrenica. Una differenza sottile ma fondamentale, che ancora una volta salva politici e potenti e trasforma in uno schiaffo alle vittime quella che forse è una vittoria, forse no.
Le
donne di Srebrenica che hanno sporto denuncia per questo terribile evento,
dunque, hanno finalmente ottenuto giustizia, ma ogni altra loro istanza è stata
respinta. Lo Stato olandese, infatti – e con esso, le Nazioni Unite, egualmente
responsabili per il comportamento dei caschi blu – non è stato condannato per
il rastrellamento e l’omicidio degli oltre diecimila musulmani torturati e
assassinati a Srebrenica, ma solo per aver costretto a uscire coloro che
risultavano direttamente sotto la protezione dei caschi blu, ovvero coloro che
si trovavano all’interno del compound.
Per tutti gli altri, al momento non è stata riscontrata (e probabilmente mai lo
sarà) responsabilità dello Stato olandese o dell’Onu. Secondo i giudici
olandesi, in sostanza, anche se i caschi blu avrebbero dovuto denunciare
direttamente i crimini di guerra (cosa che in effetti non è stata fatta, anzi
Karremans ebbe parole di apprezzamento per Mladić, da cui accettò anche dei doni) lo
Stato olandese non può essere ritenuto responsabile di questo perché una simile
azione, secondo i giudici, non avrebbe potuto comportare “un intervento
militare diretto dell'Onu" e, quindi, non avrebbe potuto impedire il
genocidio. Tutto questo è opinabile, ma così i giudici civili olandesi dell’Aja hanno scritto
nelle loro carte, a imperitura memoria.
Che cosa accadrà ora?
Assolutamente nulla. Quella ottenuta dalla donne di Srebrenica è una vittoria
di Pirro che avrà però forse un peso nel momento in cui – auspicabilmente – si
arriverà finalmente a sentenza nei processi intentati dal Tpi ai danni di
Mladić e di Radovan Karadžić proprio per il genocidio di Srebrenica. Staremo a
vedere.