domenica 6 luglio 2014

Srebrenica, 19 anni dopo – pensieri per l’anniversario: Gianluca Paciucci


È un mastino senza denti ad assalire da dentro i nostri corpi gonfi di cattiva memoria e di pessimo oblio. Fa finta di far paura e di inchiodarci alle nostre responsabilità: poi prova a mordere, non riesce a farlo e scatta l’autoassoluzione.
Viviamo in nodi che stringono l’Europa senza soffocarla: nodi d’oggi, che si chiamano Aleppo e Odessa, nodi d’appena ieri, come Srebrenica. Guerre dette etniche, ma che sono solo scontri accaniti per la terra e per un dio, ovvero scontri tra comunità e soldati contro civili. Islamofobia militante nel sud-est della Bosnia, con la Serbia appena al di là del fiume, la morbida Drina che è anche un fiume di cadaveri, genocidio e inondazioni. La civiltà cristiana con il volto di Mladić voleva proteggerci dall’islam, come autorevolmente spiegò l’europarlamentare Borghezio alla notizia dell’arresto del militare serbo: “…i patrioti sono patrioti e per me Mladić è un patriota. Quelle che gli rivolgono sono accuse politiche. Sarebbe bene fare un processo equo, ma del Tribunale dell’Aja ho una fiducia di poco superiore allo zero. I Serbi avrebbero potuto fermare l’avanzata islamica in Europa, ma non li hanno lasciati fare. E sto parlando di tutti i Serbi, compreso Mladić. Io comunque andrò certamente a trovarlo, ovunque si troverà…”. Come provò a proteggerci? Uccidendo migliaia di maschi musulmani tra l’11 e il 16 luglio del 1995, dopo averli separati dal resto della loro gente, gente minacciata, terrorizzata, stuprata. Come ci protegge Borghezio?
Il mastino sdentato e canuto che è la nostra coscienza prova a ricordarcelo almeno una volta all’anno, quando si approssima la ricorrenza dell’11 luglio, ma salgono fuori solo balbuzie di guaiti: e così tocca persino coccolarlo, il povero mastino, e che va bene così, e farlo accucciare ai piedi del letto o forse sulla copertina fina d’estate. Questa è la coscienza dell’Europa unita, dei caschi blu, dei mediatori internazionali, e di noi votanti. Ora jihadisti sbarcano sulle coste italiane, portando da noi la guerra santa: almeno così sostiene il quotidiano ufficiale del partito che ha mandato Borghezio a Strasburgo. I jihadisti arrivano da Aleppo, ma a più forza ancora e da più tempo vengono da Srebrenica: sono gli uccisi di Srebrenica e di Potočari a sbarcare qui (quelli che non rimuoiono affogati), tutti vecchietti o giovanissimi manovali del terrore, vero?, non ricomposti, non riaggregati. Sbarcano corpi smembrati che s’aggirano per le nostre città, rifornendo di denti spezzati il mastino delle nostre coscienze affinché provi ad azzannarci sul serio scavandoci un morso nel cuore del petto. Solo chi questo morso lo aveva da prima, già da tempo viaggiava  per le strade di Bosnia senza esitare un attimo. La guerra in casa, scrisse Luca Rastello, nel più bel libro pubblicato da un europeo sui crimini degli anni Novanta nei Balcani occidentali. Loro in noi.
Eppure lontanissime sono Srebrenica, Aleppo, Bengasi, Kabul e Odessa. Partecipiamo a riti e a cerimonie, senza scalfire né la morte del passato né quella del presente. Essa (ma se fosse un maschio?) risorge dalle fosse comuni, ora rivoltate dalle piogge devastatrici di metà maggio che hanno portato ovunque mine antiuomo e ossa. Alle donne e uomini della Bosnia Erzegovina ora spetta l’ennesima ricostruzione: le case di molti ritornati a Srebrenica sono state spazzate via dalla furia delle acque. Forse ce la faranno ancora, nel nome di chi non c’è più e guardando con rabbia e pietà persino al muso del mastino.

Gianluca Paciucci
scrittore e poeta