giovedì 17 luglio 2014

Srebrenica, 19 anni dopo – pensieri per l’anniversario: Paolo Pignocchi

Non c’è più tempo per ricordare, per cercare di tornare indietro nel tempo e cancellare quello che è successo a Srebrenica; nei giorni del ricordo abbiamo quasi pensato, facendola rivivere, che ancora si potesse fare qualcosa. No, ora dobbiamo riportarla nel nostro cuore e vivere accanto a quella colpa, alla nostra colpa, e a quelle vittime. È trascorso un altro 11 luglio, veloce, tristemente uguale agli altri diciotto; oggi non c’è più tempo per ricordare la Bosnia e Srebrenica, con lei, ritorna in bacheca. Il tempo dei media, dove tre o quattro giorni sono il tempo di una notizia, ha plasmato anche i nostri ricordi, la loro durata. Quanto tempo, invece, servirebbe per capire, elaborare un lutto, perché tutto non debba ripetersi. Forse una vita non basterebbe.
Coincidenza ha voluto che anche la distrazione più grande messa in campo dai mondiali di calcio sia finita. No non ci hanno distratto dai problemi. Non credo che quel circo mediatico, oggi che la crisi ancora attanaglia la nostra pelle, possa avere ancora quella funzione. Giorno per giorno, le proteste brasiliane, i terribili fatti di Gaza e il riaccendersi di vecchi/nuovi rancori non può averci distratto. Abbiamo capito quanto Srebrenica abbia insegnato poco e ci abbia responsabilizzato affinché l’impegno e la lotta strenua per i diritti non possa permettersi neanche un giorno di ferie. Ora il ricordo rientra, come un cd nella sua custodia, nel cuore di tutti noi: 175 persone hanno un nome e le relative famiglie possono onorarlo con un fiore a Potočari. Più di mille conservano alcune speranze, molti di più resteranno dei poveri umani resti. Da oggi, come sempre, ci impegneremo per la giustizia, contro l’impunità, contro una comunità internazionale che ha già cominciato i saldi sui procedimenti pendenti in un Tribunale che è in via di chiusura, lasciando una Bosnia e tutta l’area dei Balcani focolaio di qualsiasi vendetta. Oggi non possiamo più ricordare; la nostra memoria deve trasformarsi in speranza e in lotta per tutti i luoghi del mondo dove è viva l’ingiustizia e la discriminazione, a cominciare dalle nostre coste, dal rispetto dei diritti umani fuori dalla porta di casa nostra.
Ma io continuo a vedere quel mare che  mi salva da tanto dolore, è lo stesso di ieri, del 1995, quello stesso mare Adriatico che mi ha separato dai drammi della Bosnia e di Srebrenica e lui mi ha fornito un pretesto perfetto: “Erano cose lontane”. Il ricordo si ferma, ma Srebrenica è parte di me e non cesserà d’esserlo mai… purtroppo.

Paolo Pignocchi