Lo
ammetto: per me è più facile girare un film su Srebrenica che non parlarne o
raccontare come sono riuscito a sopravvivere. Le parole sono inutili, l’immagine
qui accanto, che ho chiesto di pubblicare, dice molto di più, soprattutto
quando si è in una foresta di lapidi bianche presso il centro memoriale di Potočari.
Bratunac-Srebrenica,
1992: granate, la fame, la sete, incendi, morti per strada, gente che urla,
piange, corre urlando; disorientamento, impotenza, ricerca, esecuzione...
Avevo sei
anni, siamo fuggiti da casa nostra per salvarci. A un certo punto, mentre
eravamo nascosti in un bosco, sul lato opposto odiamo una grande esplosione.
Papà dice: “Era la nostra macchina, l’esplosione veniva da dove l’avevo
nascosto”. Guardare quel fuoco a distanza mi ha reso molto triste: in macchina
era rimasto il mio giocattolo preferito. Come può un bambino di sei anni
descrivere il suo dolore per aver perso una parte così importante della propria
vita, della propria infanzia?
Srebrenica,1993:
non so come, ma è passato molto tempo; non so dove abbiamo dormito tutti, non
so che cosa abbiamo mangiato, non so come siamo sopravvissuti, perché non c’era
cibo. Improvvisamente ci siamo trovati su un camion delle Nazioni Unite. Era
l'ultimo convoglio dell’Onu che ha portato cibo a Srebrenica. Mia madre si
teneva stretta alle sponde del camion, mia sorella maggiore, fratello minore e
io, terrorizzati, stavamo aggrappati a lei. In quel momento, migliaia di
persone stavano cercando di salire sui camion, per sopravvivere ed essere
salvate.
Dopo che
nostro padre ci aveva letteralmente “buttati” sul camion, se ne stava da solo
in mezzo alla strada, nonostante avesse migliaia di persone attorno, ma vedevo
come si sentisse solo senza di noi. Guardava verso il camion su cui ci aveva
messi… aveva in faccia un sorriso serio, triste… ci salutava con la mano e noi,
che lo stavamo lasciando, lo salutavamo con le nostre…
Passando
attraverso Bratunac e Drinjača, siamo stati letteralmente lapidati. Immaginate
un sacco di camion, senza teloni di protezione, e un gruppo di donne e bambini
serbi che ci lanciano contro pietre. I nazionalisti avevano portato a termine,
in quel preciso momento, la loro missione.
Ho perso
più di trenta membri della famiglia ... il corpo di mio nonno, ucciso nel 1995,
non l’abbiamo ancora ritrovato.
A
Srebrenica c’è vita, ci sono acque curative meravigliose, c’è uno splendido
scenario e ci sono molte persone simpatiche a cui non importa cos’hanno perso
ma sono pronte a condividere tutto con voi. È una città in cui vivono i
coraggiosi, le persone che vogliono bene alla città. Il fatto è che Srebrenica
ha perso il suo lustro, e le sue ali sono rotte e avrà bisogno di molto tempo
per recuperare. Ma vuole recuperare memoria. Conoscenza di ciò che è stato.
Il mio
cortometraggio Angel of Srebrenica è
testimone dei miei legami emotivi con la mia città natale, che ha subìto un
genocidio durante la guerra del 1992-1995. Il mio desiderio è che, attraverso
le arti, tutti possiamo contribuire allo sviluppo di Srebrenica e della Bosnia Erzegovina.
Secondo
Robert Golden, regista e sceneggiatore inglese, Angel of Srebrenica rappresenta un lucido gioiello artistico.
Quando accade una tragedia troppo grande per la sensibilità umana, facciamone
metafora poetica e attraverso l’arte proviamo a spiegare e a capire che cosa un
essere umano può essere capace di fare a un altro.
Ado Hasanović,
regista nato a Srebrenica e sopravvissuto all’assedio