martedì 15 luglio 2014

Srebrenica, 19 anni dopo – pensieri per l’anniversario: Giuseppina Muscas

Immagina una cittadina in mezzo alle montagne e ai fiumi.
Immagina la tua vita di tutti i giorni, tranquilla, fatta di quei gesti che la quotidianità rende quasi automatici, ma che ti danno sicurezza: una vita contadina o da commerciante o da ciò che vuoi.
Immagina la tua famiglia: tu, tuo marito, tuo figlio di 14 anni, tua figlia di 16.
Pensi già a quando i ragazzi diverranno grandi, al corredo di tua figlia, alla nuora che ti capiterà, e anche al prossimo ramadan da organizzare perché voi siete musulmani, dei bravi musulmani che abitano vicino a bravi cristiani. Due religioni diverse, ma una sola comunità.
Immagina che improvvisamente, per ragioni che non conosci o non capisci, ti ritrovi nel caos più assoluto.
Tu eri troppo presa dalla tua vita così impegnata da non renderti conto, se non troppo tardi, che il vicino di casa che t’aiutava a tagliare la legna era diventato il nemico più pericoloso.
Oppure sì, te ne eri accorta, ma ti ripetevi che i morti trovati per strada, le notizie della tv, non sarebbero arrivati fino a te, tu non avevi mai fatto nulla di male, non c’entravi nulla con tutto questo.
Poi, un giorno, l’assedio.
Vai a vedere sul vocabolario cosa esattamente significa la parola “assedio” perché vuoi essere certa di non aver capito male, ma hai capito benissimo.
Assedio vuol dire: terrore, freddo, fame, paura per i tuoi cari.
Scarseggia tutto, poi viene a mancare tutto, e tu hai paura, ogni giorno un po' di più.
Poi, finalmente, la buona notizia: arrivano i caschi blu dell’ONU.
Nessuno li sfiderà, non è possibile, ora si può tornare a sperare nella pace, puoi tornare a pensare al corredo di tua figlia.
Già, tua figlia, che un mattino come gli altri s’incammina nei boschi insieme ad altre persone per cercare legna da ardere, per avere un po’ di calore.
Tua figlia che viene improvvisamente circondata da un gruppo di soldati o da un gruppo di vicini di casa, non ha importanza, e viene stuprata, lì.
Buttata a terra, quella terra che profuma di funghi, di foglie, di vita, quella terra che si trasforma in morte, quegli uomini in belve.
La violano in quattro, cinque, sei, dieci, usano di tutto: coltelli, canne di fucile, e lei lì: prima urlava, ora non più.
L’ha trovata suo fratello, tua figlia, un ragazzo improvvisamente diventato uomo che ritrova una ragazza che non potrà mai più diventare donna, moglie, madre.
Non parla più, tua figlia, non mangia più, non respira quasi più.
La rabbia e l’impotenza salgono: ma come, i caschi blu, l’ONU, la comunità internazionale: tutte balle.
Siete voi quattro, soli nella vostra disperazione, anzi no, non siete soli, c’è tutta una città nella vostra situazione.
Poi, un giorno, arrivano loro: promettono che non faranno nulla di male.
Vi raccolgono tutti in una fabbrica e poi dividono maschi da femmine.
I maschi dai 14 ai 76 anni da una parte, le donne dall'altra.
E tu vedi tuo marito e tuo figlio sparire in quella marea di corpi, ma ci sono i caschi blu, non c'è nulla da temere.
Ed è genocidio. Ottomila morti, forse molti di più, non lo saprai mai.
Inizia la ricerca dei corpi per dargli una tomba su cui piangere.
Tu prendi tutto il tuo coraggio, stringi al seno tua figlia muta e silenziosa e cerchi.
I corpi sono sparsi per decine di chilometri: smembrati, offesi, oltraggiati.
Ma tu sei una donna di tempra forte, e il dolore che non smette di colpire con la sua ascia tutti i giorni non scalfirà la tua disperata energia che serve per difendere quella tua figlia e per ritrovare ciò che resta di tuo figlio e di tuo marito.
Ora smetti d’immaginare, perché tutto questo è successo a Srebrenica, 19 anni fa.
Tra te e quelle donne solo il mare e poco altro.

Giuseppina Muscas
Attivista in difesa dei diritti umani