sabato 12 luglio 2014

Srebrenica, 19 anni dopo – pensieri per l’anniversario: Paolo Bergamaschi

Sento ancora i giorni di Srebrenica sulla mia pelle. Per me è impossibile dimenticare quei tragici momenti. Pochi giorni prima ci aveva lasciato Alexander Langer che in parlamento aveva inutilmente cercato di smuovere l'Unione europea dall'inerzia esasperante nei confronti del dramma bosniaco. Quando cadde Srebrenica, però, nessuno si rese immediatamente conto del destino dei suoi abitanti. Le immagini di Mladić  con la resa del contingente olandese della Nazioni Unite che sulla carta avrebbe dovuto proteggere l'enclave avevano causato sconcerto, rabbia e vergogna ma non facevano presagire quello che è poi diventato il più grande crimine contro l'umanità sul suolo europeo dopo la seconda guerra mondiale. Solo qualche mese dopo cominciarono ad emergere le prime testimonianze sull'eliminazione premeditata della popolazione maschile della città. Ricordo come fosse oggi, durante una cena di lavoro a Sarajevo, l'ambasciatore svizzero che riportava il racconto di un testimone sulle squadre della morte serbo-bosniache che aspettavano con le armi spianate nei boschi sulle alture circostanti i gruppi di profughi sulla strada per Tuzla per compiere il massacro pianificato da tempo con la connivenza imbelle di tutta la comunità internazionale.  Sono poi tornato a Srebrenica in occasione del decennale di quello che il diritto internazionale ha qualificato come genocidio. Eravamo decine di migliaia nel cimitero di Potočari  a commemorare gli scomparsi e a presenziare alla cerimonia funebre delle salme che continuavano ad essere recuperate ed identificate dalle fosse comuni. Troppo tardi. Che almeno quei morti possano prevenire altri crimini contro l'umanità.

Paolo Bergamaschi
consigliere presso la commissione Esteri del Parlamento europeo,
musicista, scrittore