martedì 10 giugno 2014

Omicidio Politkovskaja, cinque ergastoli. E il mandante?

Mosca, 7 ottobre 2006. Anna Politkovskaja, giornalista inviata di Novaja Gazeta, viene trovata morta nell’ascensore del suo palazzo, uccisa con quattro colpi di pistola, uno dei quali alla testa. Impegnata come attivista per i diritti umani e per la denuncia dei crimini russi in Cecenia, si era opposta strenuamente a un uomo in particolare, Vladimir Putin, che proprio il giorno dell’efferato omicidio di Anna compiva 54 anni, essendo nato a San Pietroburgo il 7 ottobre 1952. Qualcuno disse che l’assassinio della giornalista era stato un regalo di compleanno al suo principale oppositore…
Ieri, 9 giugno 2014, dopo otto anni e tre processi, il tribunale di Mosca ha condannato all’ergastolo il presunto killer, Rustam Makhmudov, e suo zio Lom-Ali Gaitukayev, considerato l’organizzatore dell’omicidio. Carcere per un periodo variabile da dodici e quattordici anni per i pedinatori della giornalista, Ibragim e Dzhabrai Makhmudov, fratelli di Rustam, e di vent’anni per Sergei Khadzhikurbanov, che partecipò alla preparazione dell’agguato.
Cinque condanne, dunque. E il mandante? Rimane sconosciuto.
Potremmo quasi parlare di una “condanna all’italiana”: quelle, per esempio, dove vengono processati e condannati i corrotti, ma non il corruttore. D’altronde, nell’ultimo ventennio Italia e Russia (ma anche la “democratica” Bielorussia del regime dittatoriale e della pena di morte) sono state molto vicine in virtù di amicizie personali di uomini potenti.
I figli di Anna Politkovskaja hanno dichiarato alla stampa d’essere indignati per questa sentenza, che non fa minimamente giustizia dell’omicidio della madre. Secondo Riccardo Noury, portavoce italiano di Amnesty International, “con la condanna dei cinque accusati è stata fatta solo giustizia a metà. Il processo ha lasciato troppe domande insolute e non vi sarà piena giustizia fino a quando non saranno identificati e portati in tribunale coloro che ordinarono la morte di Anna. E fino a quel momento, tutti i giornalisti e gli attivisti che operano in Russia continueranno a rischiare la vita. Lo spazio per la libertà d'espressione, di manifestazione e d’informazione in quel Paese è sempre più limitato”.
“Forse si dovrebbe scavare più a fondo negli ambienti della malavita cecena e dei suoi intimi rapporti con l’FSB, ma purtroppo uno degli anelli essenziali di questa catena è stato anch’esso spezzato: si tratta del boss della banda Lozanskaja Movladi Atlangeriev, ucciso nel 2008 in Cecenia dopo essere stato rapito in pieno centro a Mosca, perché – pare – caduto in disgrazia presso la corte di Kadyrov figlio. – spiega Massimo Ceresa, autore per Infinito edizioni di Dania e la neve (2009) e di Sopravvivere alla Russia di Stalin e di Putin (2013) – D’altra parte, sarebbe interessante seguire la scia di sangue lasciata dall’attuale presidente della Federazione russa, già a partire dalla sua prima elezione (a tal proposito, consiglio la lettura della biografia non autorizzata di Masha Gessen). Ma ancora più doveroso sarebbe indagare sulle modalità del primo tentativo di assassinio della Politkovskaja avvenuto mentre si stava recando in Ossezia settentrionale, durante la famigerata presa in ostaggio della Scuola n. 1 a Beslan nel settembre del 2004…”.