Proprio ieri fonti di primissima mano mi hanno
raccontato la vicenda di un lavoratore che non c’è più, scomparso poco più di
un mese fa. Un lavoratore che conoscevo molto bene. Per questo so che le fonti
sono molto più che attendibili. Mi permetto di condividere la vicenda con voi.
Parliamo di un uomo, italiano, in pensione da pochi
mesi. Marco – nome di fantasia – ha insegnato nella scuola media superiore fino
alla conclusione dell’anno scolastico 2012-2013. Quindi l’agognata pensione.
Circa 1.400 euro al mese, parte dei quali già destinati, a rate, a una serie di
attività personali e famigliari non più rimandabili. Alcune decisamente serie,
di quelle che hanno a che vedere con la sopravvivenza e la dignità delle
persone.
Marco ha lavorato per oltre quarant’anni. Ha cominciato
da ragazzino, quindi è emigrato all’estero in cerca di fortuna e, rientrato in
Italia, mentre lavorava in fabbrica ha avuto il primo figlio e s’è iscritto all’università
per laurearsi, vincere il concorso pubblico nella scuola e coronare, già
grande, il suo sogno: insegnare. La sua potrebbe essere definita una bella
storia italiana, se a qualcuno interessassero, in questo Paese, le belle
storie.
Sposato, due figli, la moglie di Marco è insegnante
elementare, ancora in attività. Con problemi di salute. Dei due figli, uno ha
un lavoro precario, l’altro studia ancora ed è a carico della famiglia.
Qualche giorno fa, l’Inps comunica alla moglie di Marco
che il suo reddito da maestra elementare è troppo alto per darle diritto a una
reversibilità degna di tale termine. Dei 1.400 euro circa di pensione che lo
Stato avrebbe dovuto pagare a Marco, gliene saranno versati solo circa 300 al
mese. Il resto non è per lei. Resta allo Stato. Magari per pagare le
mega-pensioni di qualche dirigente pubblico in pensione, le migliaia o decine di
migliaia di euro al mese di un magistrato o di un politico o di un manager per
qualche anno a capo di aziende pubbliche regolarmente in rosso ma, miracoli
tutti italiani, nel frattempo baciato da chissà quante buonuscite per
svolazzare da una raccomandazione politica (e relativa poltrona) a un’altra.
Anche queste, d’altronde, sono storie italiane.
In Italia quarant’anni di lavoro onesto e di contributi
regolarmente pagati non danno diritto a nulla, se si muore e si lasciano degli
affetti. E dei debiti. Sì, perché Marco aveva aspettato anni per decidersi a
risolvere finalmente un problema grave ai denti che gli dava il tormento. È morto
il giorno dopo aver fatto l’ultima, definitiva visita al dentista. Il giorno
dopo. Anzi, neanche ventiquattro ore dopo. Infarto. Il sorriso di Marco è
durato meno di ventiquattro ore e non lo ha visto nessuno, a parte il medico curante. Alla moglie
maestra elementare, troppo ricca col suo stipendio per avere la pensione di
reversibilità, è rimasto il conto del dentista, circa 12.000 euro, e quello
dell’impresa di pompe funebri, altri 6.000 euro circa. Più una casa da mandare
avanti, un figlio a carico, un latro precario. E nulla o quasi in banca per
pagare le fatture, perché in Italia si vive come si vive e lo sanno quasi
tutti, tranne evasori, criminali, politici e pochi altri, evidentemente.
Questa potrebbe essere una storia da raccontare per il
Primo Maggio, l’ennesima festa svuotata di significato, diventata appannaggio
di frasi piene solo di aria fritta dei politici di turno e ricordata per il
concerto di Piazza San Giovanni.
Come tutte le storie in questo Paese, poi, sarà presto
dimenticata, rimossa, digerita. Così è l’Italia.
Buon Primo Maggio a tutti i lavoratori che pagano le
tasse e alle loro famiglie che sudano per arrivare a fine mese. Solo a loro.
Gli altri festeggiano a nostre spese tutto l’anno. Che almeno un giorno ce lo
lascino.