mercoledì 30 aprile 2014

Buon Primo Maggio (con il caso tutto italiano di Marco)

Domani è la Festa dei Lavoratori.
Proprio ieri fonti di primissima mano mi hanno raccontato la vicenda di un lavoratore che non c’è più, scomparso poco più di un mese fa. Un lavoratore che conoscevo molto bene. Per questo so che le fonti sono molto più che attendibili. Mi permetto di condividere la vicenda con voi.
Parliamo di un uomo, italiano, in pensione da pochi mesi. Marco – nome di fantasia – ha insegnato nella scuola media superiore fino alla conclusione dell’anno scolastico 2012-2013. Quindi l’agognata pensione. Circa 1.400 euro al mese, parte dei quali già destinati, a rate, a una serie di attività personali e famigliari non più rimandabili. Alcune decisamente serie, di quelle che hanno a che vedere con la sopravvivenza e la dignità delle persone.
Marco ha lavorato per oltre quarant’anni. Ha cominciato da ragazzino, quindi è emigrato all’estero in cerca di fortuna e, rientrato in Italia, mentre lavorava in fabbrica ha avuto il primo figlio e s’è iscritto all’università per laurearsi, vincere il concorso pubblico nella scuola e coronare, già grande, il suo sogno: insegnare. La sua potrebbe essere definita una bella storia italiana, se a qualcuno interessassero, in questo Paese, le belle storie.
Sposato, due figli, la moglie di Marco è insegnante elementare, ancora in attività. Con problemi di salute. Dei due figli, uno ha un lavoro precario, l’altro studia ancora ed è a carico della famiglia.
Qualche giorno fa, l’Inps comunica alla moglie di Marco che il suo reddito da maestra elementare è troppo alto per darle diritto a una reversibilità degna di tale termine. Dei 1.400 euro circa di pensione che lo Stato avrebbe dovuto pagare a Marco, gliene saranno versati solo circa 300 al mese. Il resto non è per lei. Resta allo Stato. Magari per pagare le mega-pensioni di qualche dirigente pubblico in pensione, le migliaia o decine di migliaia di euro al mese di un magistrato o di un politico o di un manager per qualche anno a capo di aziende pubbliche regolarmente in rosso ma, miracoli tutti italiani, nel frattempo baciato da chissà quante buonuscite per svolazzare da una raccomandazione politica (e relativa poltrona) a un’altra. Anche queste, d’altronde, sono storie italiane.
In Italia quarant’anni di lavoro onesto e di contributi regolarmente pagati non danno diritto a nulla, se si muore e si lasciano degli affetti. E dei debiti. Sì, perché Marco aveva aspettato anni per decidersi a risolvere finalmente un problema grave ai denti che gli dava il tormento. È morto il giorno dopo aver fatto l’ultima, definitiva visita al dentista. Il giorno dopo. Anzi, neanche ventiquattro ore dopo. Infarto. Il sorriso di Marco è durato meno di ventiquattro ore e non lo ha visto nessuno,  a parte il medico curante. Alla moglie maestra elementare, troppo ricca col suo stipendio per avere la pensione di reversibilità, è rimasto il conto del dentista, circa 12.000 euro, e quello dell’impresa di pompe funebri, altri 6.000 euro circa. Più una casa da mandare avanti, un figlio a carico, un latro precario. E nulla o quasi in banca per pagare le fatture, perché in Italia si vive come si vive e lo sanno quasi tutti, tranne evasori, criminali, politici e pochi altri, evidentemente.
Questa potrebbe essere una storia da raccontare per il Primo Maggio, l’ennesima festa svuotata di significato, diventata appannaggio di frasi piene solo di aria fritta dei politici di turno e ricordata per il concerto di Piazza San Giovanni.
Come tutte le storie in questo Paese, poi, sarà presto dimenticata, rimossa, digerita. Così è l’Italia.
Buon Primo Maggio a tutti i lavoratori che pagano le tasse e alle loro famiglie che sudano per arrivare a fine mese. Solo a loro. Gli altri festeggiano a nostre spese tutto l’anno. Che almeno un giorno ce lo lascino.