venerdì 28 marzo 2014

Sfoghi editoriali in un Paese impossibile seduto su un pozzo di petrolio (o di merda?)

Vengo da una settimana editorialmente difficile, non lo nego. Per questo butto giù queste poche righe di sfogo, che vogliono essere una sfida a chi certe cose non ha il coraggio di dirle, eppure vanno dette.
Provo a mettere in fila alcune “perle editoriali” che più, tra le altre, mi hanno fatto riflettere.
  1. Una realtà che organizza validi corsi di preparazione all’ingresso dei giovani in questo mondo orribile che è l’editoria mi propone di tenere una lezione. Mi offrono cento euro lordi per tre ore di lezione. Accetto soprattutto perché mi piace stare a contatto coi giovani, provare a trasmettere loro quel poco che so. Ma non ho capito che il viaggio di andata e ritorno da Modena a Roma è a mio carico, così come ogni altro tipo di spesa, incluso il panino che, per motivi di salute, comunque non potrei mangiare. Provo a mediare e chiedo che almeno i cento euro siano netti, perché così almeno non sarei andato in perdita, costo dei biglietti alla mano, ma più o meno in pareggio. Mi viene risposto che non si può assolutamente fare. Bene, ritiro la mia disponibilità e mi chiedo: ma qualche manager di Stato (normalmente incompetente e discretamente raccomandato) farebbe tre ore di corso di alto livello gratis? Io credo nessuno. Magari di fronte a una proposta del genere minaccerebbero di andarsene in Svizzera (e venisse presto quel giorno…). E allora perché viene chiesto a un professionista che vive solo del suo lavoro di gettare alle ortiche un intero giorno di vita e di lavoro per… rimetterci di tasca sua? Succede solo in editoria ma è in linea col Paese...
  2. In vista delle elezioni amministrative il partito dominante del comune modenese in cui abbiamo avuto la strana idea di venire a produrre – e i cui rappresentanti da ormai oltre due anni ci snobbano, nonostante siamo gli unici in zona a fare questo lavoro al nostro livello e a farlo bene – decidono che le primarie non si fanno più e scelgono una candidata unica, che tutti definiscono una gran brava persona e pare sia veramente così. Bene. Il partito dominante convoca cinque tavoli cittadini per riunire le persone di buona volontà e produrre idee e progetti per il comune che verrà, da maggio in avanti. Bene. Tra i tavoli, ovviamente, manca quello della cultura, che non può certamente essere fatta rientrare per specificità nel tavolo della scuola. Domanda: manca perché la cultura non conta niente, per queste persone, e quindi è inutile parlarne; oppure perché per il partito unico la cultura deve restare un’espressione hobbistica nelle mani di pochi, con chiusura totale a tutto il resto del mondo? Un ministro di quel partito, nominato titolare del dicastero della Cultura, ha recentemente detto che sente di stare seduto su un pozzo di petrolio. Bene. Ma questo petrolio chi lo deve gestire e “imbottigliare”? Sempre i soliti noti, anche se magari stanno politicamente dall’altra parte della barricata? Questo è un Paese che si regge sulla piccola e media impresa, ma proprio la piccola e media impresa viene regolarmente “schifata”. Chi la fa in editoria, poi, evidentemente fa ancora più schifo. In linea col Paese…
  3. Un’anziana signora romana cerca in una piccola libreria del suo quartiere quattro copie di un nostro bellissimo titolo, “Il partigiano di piazza dei Martiri”, dell’eccellente Enzo Barnabà. La libreria le risponde che l’editore non esiste, il libro non esiste, nulla esiste. Forse lo stesso libraio sente di non esistere. Però una banca dati nazionale a cui tutti i librai sono collegati esiste, come anche internet esiste, alla stregua di fior di grossisti e distributori editoriali, che hanno, tutti, i nostri libri. Il libro costa 13.00 euro. Per mera dabbenaggine, il libraio rinuncia a un incasso di 52.00 euro, così suddivisi: 30% (lordo) a lui, 45% (lordo) a noi, il resto (lordo) al distributore. Eppure c’è la crisi dell’editoria e non si vendono più libri. Nessuno vende più libri. E, ciò nonostante, un libraio cialtrone non ritiene opportuno digitare su Google il titolo di un libro per soddisfare la sua anziana e candida cliente e per contribuire a far girare un po’ l’economia del settore. Purtroppo non è l’unico, anzi sono in molti a fare così. A partire da alcuni grandi gruppi. Che poi però licenziano o si accingono a farlo perché c’è la crisi. Ma se non soddisfi le richieste, semplici e remunerative, dei clienti, come pensi di provare a rilanciare un settore, quello editoriale, che sta per morire? Mistero. In linea con questo misterioso Paese… In cui si preferisce restare in crisi, evidentemente, invece di rimboccarsi le maniche – almeno chi può e dovrebbe – e provare a sconfiggerla, la crisi. Tutti a lamentarsi che il Paese è in mano a quelle sanguisughe sacrileghe che si chiamano banche, però poi se c’è da aprire un conto deposito con un distributore per vendere ben quattro copie di un libro, allora la crisi non c’è più ed è meglio girarsi dall’altra parte. Ma vergognatevi, in linea anche qui col Paese!
  4. Un traduttore, decisamente in gamba e ben posizionato, mi scrive e ci propone la pubblicazione di un libro su un genocidio avvenuto durante il periodo della Russia zarista in una remota zona del Caucaso. Progetto intrigante ma di oltre 220 pagine, da tradurre dall’inglese, con autore accademico statunitense. Lo ringrazio e gli dico che non si può fare, a malincuore, perché non venderemmo una copia o quasi. Libro di nicchia, periodo difficile anzi impossibile, autore a migliaia di chilometri di distanza… Mi risponde con una mail tranquillizzante, dalla lettura della quale risulta che l’autore è titolare dei diritti e cede il libro gratis, il traduttore è pronto ad accordarsi con noi a qualunque condizione pur di fare il progetto, che il traduttore stesso può arrivare a un paio di nomi molto grossi della realtà culturale italiana per curare prefazione e postfazione e lanciare bene il libro e, per finire, che non c’è nessun problema perché il libro si può far adottare facilmente a università, scuole e associazioni attive nel settore e lo si presenta di sicuro in una bella lista di città. Subodoro qualcosa e gli scrivo le stesse cose che m’ha scritto lui mettendole però in modo molto meno vago e chiedendo conferme perentorie. Chiama perplesso e deluso. E chiarisce: l’autore gli ha solo mandato due righe via e-mail in cui dice che potrebbe non chiedere anticipi sui diritti ma i diritti li vuole eccome (e lo trovo giusto, ci mancherebbe); la lista delle città era indicativa perché sarebbe bello presentare lì, ma non è cosa che spetta al traduttore fare (e ci può anche stare, sebbene dalla mail si capisse altro); come nemmeno contattare i due nomi di prestigio di cui sopra, che poi scopriamo non essere suoi contatti ma suoi vagheggiamenti; idem per università, scuole eccetera: sarebbe bello se adottassero, ma scopriamo che in realtà lui non ne conosce nessuna e che ha semplicemente millantato per arrivare a ridosso del suo obiettivo. Infine, non esiste che il traduttore firmi un contratto che lega la sua remunerazione alla vendita del libro perché si scopre che ora è d’accordo con noi, che il libro è difficile e che se non vende abbastanza lui ci rimette i soldi della traduzione. Gli faccio notare che noi ne perderemmo almeno tre volte tanto. Risponde che è giusto così, perché l’editore deve rischiare, il traduttore no perché vive del suo lavoro. L’editore invece non è ben chiaro di che cosa viva, secondo molti traduttori. Forse si nutre della sua bile o semplicemente dell’imbecillità altrui. Anche qui, in linea con un Paese che sa solo lamentarsi ma è incapace di scommettere su se stesso, di mettersi in gioco. A farlo devono essere sempre gli altri, ovviamente. Non per niente, l’Italia è famosa nel mondo per essere un Paese in cui i nonni si sono spaccati la schiena per creare qualcosa, i figli si sono riposati e i nipoti stanno godendosi e dilapidando il tutto. Vediamo fino a che punto sarà possibile, per il grosso della popolazione nazionale, continuare così…
  5. Tutto questo, con l’aiuto dell’idiozia di chi gestisce la cosa pubblica: sempre in settimana arriva una lettera dell’Agenzia delle Entrare con cui ci viene detto che forse nel 2012 abbiamo “evaso” 12 euro e, tira di qua, tira di là, favoleggiando cose incredibili, arrivano a chiederne oltre 500 tra more e fumosità. A breve parte il ricorso, che vinceremo. Ma forse i veri ladri sono quelli che non pagano le tasse – e sono tanti, in questo Paese dei balocchi – non quelli che le tasse le pagano addirittura anticipate (l’Iva in tipografia) e poi magari per una disattenzione dello studio del commercialista dimenticano di denunciare 12 euro, ovvero, probabilmente, la fatturina di una libro venduto on line e regolarmente emessa (sennò non sarebbe contestata). Anche qui, in linea col Paese, con la mediocre e acida aggressività di un Paese agli sgoccioli sotto ogni punto di vista.
  6. Aggiungerei che proprio oggi una grande libreria di Milano ci ha rifiutato lo spazio per una presentazione del nuovo libro sul Rwanda, scritto da due dei pochissimi autori che oggi in Italia di Rwanda possono permettersi di parlare. Questo nonostante la certezza di avere fior di ospiti, gente non certo di secondo piano, e la libreria strapiena di pubblico. Ribadisco: strapiena. L’argomento non interessa al responsabile delle presentazioni e, in ogni caso, essendo un libro in uscita a marzo, per questa libreria snob non ha senso presentarlo a maggio (ad aprile non ci sono più spazi, dice il resposabile) perché ormai il libro sarà vecchio. Avete capito bene: ormai dopo un mese e mezzo un libro è vecchio e viene reso, quindi finisce la sua vita. Ormai in Italia vengono uccisi ogni anno decine di migliaia di libri appena nati, nel silenzio di tutti! Anche qui, in ogni caso, un cialtrone, l’ennesimo, preferisce non vendere quella quarantina di copie perché l’argomento “non gli interessa”, nonostante tra pochi giorni tutto il mondo – l’intero Pianeta! – parlerà del ventesimo anniversario del genocidio in Rwanda, uno degli eventi più spaventosi, mostruosi e mediatici (spesso nel male) della fine del XX secolo. Ma al librario non interessa, quindi la catena cui la libreria appartiene, l’editore, il distributore e tutto il resto della filiera, Fisco incluso, per la decisione di un improbabile personaggio devono perdere la vendita di quella quarantina di copie e devono negare uno spazio alla cittadinanza interessata. Questo nonostante la crisi e il coma del settore editoriale. Ma in linea con l’italica mediocrità. Avessimo portato un calciatore qualunque, anche un panchinaro mezzo zoppo, ci avrebbero spalancato ogni porta di quella come di altre librerie. Perché è così che va.
  7. Proviamo allora con un’altra libreria, che accetta subito di presentare il libro. Però c’è un “ma”. Ormai anche quella libreria, come tante altre, ha deciso di far pagare lo spazio per la presentazione. Perché sistemare e rimettere nello stanzino le sedie costa fatica. Però chiaramente fanno fattura. Bene, e ci mancherebbe altro! Così oltre al furto dei soldi chiesti per la presentazione, possiamo far arricchire anche lo Stato cieco e sordo che ha alzato l’Iva al 22% invece di abbassarla, in tempi di crisi e di stagnazione, con un atto di coraggio, per spingere ad aumentare i consumi e la richiesta di servizi. Il punto è che ormai l’editore deve pagare tutto, persino l’aria che respirano gli altri, ed è l’unico a doversi accollare costi e sacrifici nel settore editoriale: con i librai (che spesso usano i resi in modo delinquenziale), con i distributori (la politica folle dei sovrasconti), con il Fisco, con i corrieri, con le cartiere, con i tipografi, con gli autori…
Tra breve potranno fare gli editori, in Italia, solo due categorie di persone: i ricchi, che si annoiano e hanno voglia di regalarsi uno status “fico”; e i delinquenti, che magari potranno trovare nel settore un modo per lavare i soldi sporchi, in alternativa al settore bancario e a quello delle costruzioni, ormai così sputtanati da non fare più neppure notizia.
Godiamoci allora gli ultimi anni di fatiche e sangue da sputare inutilmente in questo Paese snob, arrogante, cieco e sordo, così gattopardesco che oggi farebbe schifo persino a Tomasi di Lampedusa, che pure denunciò con forza e intelligenza questo nostro essere così mediocre e meschino.
L’Italia, Paese di presunti scrittori ma di scarsi lettori, evidentemente non merita d’essere la patria della cultura che potrebbe essere. Ministro, forse lei non è seduto su un pozzo di petrolio ma su un pozzo di merda. Stia attento a non sporcarsi la giacchetta blu e se proprio è scritto che la piccola editoria debba sparire, almeno alleviate a tutti noi il dramma dell’attesa per l’ineluttabile e staccate la spina. Saremo solo altri tra i tanti migranti che lasciano un Paese che non li merita. E lei potrà tornare a far finta di stare seduto su un pozzo di petrolio che in realtà è guano. Ma siccome lei non è né petroliere né agricoltore, magari non sa distinguere l’uno dall’altro e continua a illudersi e a illuderci…
Fine dello sfogo, da lunedì si ricomincia a incazzarcisi.
Buon fine settimana a tutti. E se avete qualche riflessione da fare, forse varrà la pena farla. Almeno finché qualcuno non deciderà di seguire l’esempio del democratico Erdogan chiudendo ogni social network, così la gente non rischia di leggere cose che non si devono dire o scrivere.
Leggere… Eppure dicono che non nuoccia gravemente alla salute. Il fumo pare faccia male. Le onde elettromagnetiche dei telefonini pare facciano male. L’ignoranza grassa di sicuro fa male. Leggere – si vocifera – invece fa molto bene. Lo sanno le anziane signore romane che cercherebbero dei libri da comprare (incredibile: esistono ancora persone che credono che i libri vadano comprati!) – ma penso ve ne siano così in ogni parte d’Italia – Sarà bene che qualcuno provi a spiegarlo anche al resto della popolazione. Editori (che troppo spesso pubblicano robaccia) e librai inclusi.

Buon tutto!