Vengo da una settimana editorialmente difficile,
non lo nego. Per questo butto giù queste poche righe di sfogo, che vogliono
essere una sfida a chi certe cose non ha il coraggio di dirle, eppure vanno
dette.
Provo a mettere in fila alcune “perle editoriali”
che più, tra le altre, mi hanno fatto riflettere.
- Una realtà che
organizza validi corsi di preparazione all’ingresso dei giovani in questo
mondo orribile che è l’editoria mi propone di tenere una lezione. Mi
offrono cento euro lordi per tre ore di lezione. Accetto soprattutto
perché mi piace stare a contatto coi giovani, provare a trasmettere loro
quel poco che so. Ma non ho capito che il viaggio di andata e ritorno da
Modena a Roma è a mio carico, così come ogni altro tipo di spesa, incluso
il panino che, per motivi di salute, comunque non potrei mangiare. Provo a
mediare e chiedo che almeno i cento euro siano netti, perché così almeno
non sarei andato in perdita, costo dei biglietti alla mano, ma più o meno in
pareggio. Mi viene risposto che non si può assolutamente fare. Bene,
ritiro la mia disponibilità e mi chiedo: ma qualche manager di Stato
(normalmente incompetente e discretamente raccomandato) farebbe tre ore di
corso di alto livello gratis? Io credo nessuno. Magari di fronte a una
proposta del genere minaccerebbero di andarsene in Svizzera (e venisse
presto quel giorno…). E allora perché viene chiesto a un professionista
che vive solo del suo lavoro di gettare alle ortiche un intero giorno di
vita e di lavoro per… rimetterci di tasca sua? Succede solo in editoria ma
è in linea col Paese...
- In vista
delle elezioni amministrative il partito dominante del comune modenese in
cui abbiamo avuto la strana idea di venire a produrre – e i cui
rappresentanti da ormai oltre due anni ci snobbano, nonostante siamo gli
unici in zona a fare questo lavoro al nostro livello e a farlo bene –
decidono che le primarie non si fanno più e scelgono una candidata unica,
che tutti definiscono una gran brava persona e pare sia veramente così.
Bene. Il partito dominante convoca cinque tavoli cittadini per riunire le
persone di buona volontà e produrre idee e progetti per il comune che
verrà, da maggio in avanti. Bene. Tra i tavoli, ovviamente, manca quello
della cultura, che non può certamente essere fatta rientrare per
specificità nel tavolo della scuola. Domanda: manca perché la cultura non
conta niente, per queste persone, e quindi è inutile parlarne; oppure
perché per il partito unico la cultura deve restare un’espressione
hobbistica nelle mani di pochi, con chiusura totale a tutto il resto del
mondo? Un ministro di quel partito, nominato titolare del dicastero della
Cultura, ha recentemente detto che sente di stare seduto su un pozzo di petrolio.
Bene. Ma questo petrolio chi lo deve gestire e “imbottigliare”? Sempre i
soliti noti, anche se magari stanno politicamente dall’altra parte della
barricata? Questo è un Paese che si regge sulla piccola e media impresa,
ma proprio la piccola e media impresa viene regolarmente “schifata”. Chi
la fa in editoria, poi, evidentemente fa ancora più schifo. In linea col
Paese…
- Un’anziana
signora romana cerca in una piccola libreria del suo quartiere quattro
copie di un nostro bellissimo titolo, “Il partigiano di piazza dei
Martiri”, dell’eccellente Enzo Barnabà. La libreria le risponde che
l’editore non esiste, il libro non esiste, nulla esiste. Forse lo stesso
libraio sente di non esistere. Però una banca dati nazionale a cui tutti i
librai sono collegati esiste, come anche internet esiste, alla stregua di fior
di grossisti e distributori editoriali, che hanno, tutti, i nostri libri.
Il libro costa 13.00 euro. Per mera dabbenaggine, il libraio rinuncia a un
incasso di 52.00 euro, così suddivisi: 30% (lordo) a lui, 45% (lordo) a
noi, il resto (lordo) al distributore. Eppure c’è la crisi dell’editoria e
non si vendono più libri. Nessuno vende più libri. E, ciò nonostante, un
libraio cialtrone non ritiene opportuno digitare su Google il titolo di un
libro per soddisfare la sua anziana e candida cliente e per contribuire a
far girare un po’ l’economia del settore. Purtroppo non è l’unico, anzi
sono in molti a fare così. A partire da alcuni grandi gruppi. Che poi però
licenziano o si accingono a farlo perché c’è la crisi. Ma se non soddisfi
le richieste, semplici e remunerative, dei clienti, come pensi di provare
a rilanciare un settore, quello editoriale, che sta per morire? Mistero.
In linea con questo misterioso Paese… In cui si preferisce restare in
crisi, evidentemente, invece di rimboccarsi le maniche – almeno chi può e
dovrebbe – e provare a sconfiggerla, la crisi. Tutti a lamentarsi che il
Paese è in mano a quelle sanguisughe sacrileghe che si chiamano banche,
però poi se c’è da aprire un conto deposito con un distributore per
vendere ben quattro copie di un libro, allora la crisi non c’è più ed è
meglio girarsi dall’altra parte. Ma vergognatevi, in linea anche qui col
Paese!
- Un traduttore, decisamente in
gamba e ben posizionato, mi scrive e ci propone la pubblicazione di un
libro su un genocidio avvenuto durante il periodo della Russia zarista in
una remota zona del Caucaso. Progetto intrigante ma di oltre 220 pagine,
da tradurre dall’inglese, con autore accademico statunitense. Lo ringrazio
e gli dico che non si può fare, a malincuore, perché non venderemmo una
copia o quasi. Libro di nicchia, periodo difficile anzi impossibile,
autore a migliaia di chilometri di distanza… Mi risponde con una mail
tranquillizzante, dalla lettura della quale risulta che l’autore è
titolare dei diritti e cede il libro gratis, il traduttore è pronto ad
accordarsi con noi a qualunque condizione pur di fare il progetto, che il
traduttore stesso può arrivare a un paio di nomi molto grossi della realtà
culturale italiana per curare prefazione e postfazione e lanciare bene il
libro e, per finire, che non c’è nessun problema perché il libro si può
far adottare facilmente a università, scuole e associazioni attive nel
settore e lo si presenta di sicuro in una bella lista di città. Subodoro
qualcosa e gli scrivo le stesse cose che m’ha scritto lui mettendole però
in modo molto meno vago e chiedendo conferme perentorie. Chiama perplesso
e deluso. E chiarisce: l’autore gli ha solo mandato due righe via e-mail
in cui dice che potrebbe non chiedere anticipi sui diritti ma i diritti li
vuole eccome (e lo trovo giusto, ci mancherebbe); la lista delle città era
indicativa perché sarebbe bello presentare lì, ma non è cosa che spetta al
traduttore fare (e ci può anche stare, sebbene dalla mail si capisse
altro); come nemmeno contattare i due nomi di prestigio di cui sopra, che
poi scopriamo non essere suoi contatti ma suoi vagheggiamenti; idem per
università, scuole eccetera: sarebbe bello se adottassero, ma scopriamo
che in realtà lui non ne conosce nessuna e che ha semplicemente millantato
per arrivare a ridosso del suo obiettivo. Infine, non esiste che il
traduttore firmi un contratto che lega la sua remunerazione alla vendita
del libro perché si scopre che ora è d’accordo con noi, che il libro è difficile
e che se non vende abbastanza lui ci rimette i soldi della traduzione. Gli
faccio notare che noi ne perderemmo almeno tre volte tanto. Risponde che è
giusto così, perché l’editore deve rischiare, il traduttore no perché vive
del suo lavoro. L’editore invece non è ben chiaro di che cosa viva,
secondo molti traduttori. Forse si nutre della sua bile o semplicemente
dell’imbecillità altrui. Anche qui, in linea con un Paese che sa solo
lamentarsi ma è incapace di scommettere su se stesso, di mettersi in gioco.
A farlo devono essere sempre gli altri, ovviamente. Non per niente,
l’Italia è famosa nel mondo per essere un Paese in cui i nonni si sono
spaccati la schiena per creare qualcosa, i figli si sono riposati e i
nipoti stanno godendosi e dilapidando il tutto. Vediamo fino a che punto
sarà possibile, per il grosso della popolazione nazionale, continuare
così…
- Tutto questo, con l’aiuto
dell’idiozia di chi gestisce la cosa pubblica: sempre in settimana arriva
una lettera dell’Agenzia delle Entrare con cui ci viene detto che forse
nel 2012 abbiamo “evaso” 12 euro e, tira di qua, tira di là, favoleggiando
cose incredibili, arrivano a chiederne oltre 500 tra more e fumosità. A
breve parte il ricorso, che vinceremo. Ma forse i veri ladri sono quelli
che non pagano le tasse – e sono tanti, in questo Paese dei balocchi – non
quelli che le tasse le pagano addirittura anticipate (l’Iva in tipografia)
e poi magari per una disattenzione dello studio del commercialista
dimenticano di denunciare 12 euro, ovvero, probabilmente, la fatturina di
una libro venduto on line e regolarmente emessa (sennò non sarebbe
contestata). Anche qui, in linea col Paese, con la mediocre e acida
aggressività di un Paese agli sgoccioli sotto ogni punto di vista.
- Aggiungerei che proprio oggi
una grande libreria di Milano ci ha rifiutato lo spazio per una
presentazione del nuovo libro sul Rwanda, scritto da due dei pochissimi
autori che oggi in Italia di Rwanda possono permettersi di parlare. Questo
nonostante la certezza di avere fior di ospiti, gente non certo di secondo
piano, e la libreria strapiena di pubblico. Ribadisco: strapiena.
L’argomento non interessa al responsabile delle presentazioni e, in ogni
caso, essendo un libro in uscita a marzo, per questa libreria snob non ha
senso presentarlo a maggio (ad aprile non ci sono più spazi, dice il
resposabile) perché ormai il libro sarà vecchio. Avete capito bene: ormai
dopo un mese e mezzo un libro è vecchio e viene reso, quindi finisce la
sua vita. Ormai in Italia vengono uccisi ogni anno decine di migliaia di
libri appena nati, nel silenzio di tutti! Anche qui, in ogni caso, un
cialtrone, l’ennesimo, preferisce non vendere quella quarantina di copie
perché l’argomento “non gli interessa”, nonostante tra pochi giorni tutto
il mondo – l’intero Pianeta! – parlerà del ventesimo anniversario del
genocidio in Rwanda, uno degli eventi più spaventosi, mostruosi e
mediatici (spesso nel male) della fine del XX secolo. Ma al librario non
interessa, quindi la catena cui la libreria appartiene, l’editore, il
distributore e tutto il resto della filiera, Fisco incluso, per la
decisione di un improbabile personaggio devono perdere la vendita di
quella quarantina di copie e devono negare uno spazio alla cittadinanza
interessata. Questo nonostante la crisi e il coma del settore editoriale.
Ma in linea con l’italica mediocrità. Avessimo portato un calciatore
qualunque, anche un panchinaro mezzo zoppo, ci avrebbero spalancato ogni
porta di quella come di altre librerie. Perché è così che va.
- Proviamo allora con un’altra
libreria, che accetta subito di presentare il libro. Però c’è un “ma”.
Ormai anche quella libreria, come tante altre, ha deciso di far pagare lo
spazio per la presentazione. Perché sistemare e rimettere nello stanzino
le sedie costa fatica. Però chiaramente fanno fattura. Bene, e ci
mancherebbe altro! Così oltre al furto dei soldi chiesti per la
presentazione, possiamo far arricchire anche lo Stato cieco e sordo che ha
alzato l’Iva al 22% invece di abbassarla, in tempi di crisi e di
stagnazione, con un atto di coraggio, per spingere ad aumentare i consumi
e la richiesta di servizi. Il punto è che ormai l’editore deve pagare
tutto, persino l’aria che respirano gli altri, ed è l’unico a doversi
accollare costi e sacrifici nel settore editoriale: con i librai (che
spesso usano i resi in modo delinquenziale), con i distributori (la
politica folle dei sovrasconti), con il Fisco, con i corrieri, con le
cartiere, con i tipografi, con gli autori…
Tra breve potranno fare gli editori, in Italia, solo due
categorie di persone: i ricchi, che si annoiano e hanno voglia di regalarsi uno
status “fico”; e i delinquenti, che magari potranno trovare nel settore un modo
per lavare i soldi sporchi, in alternativa al settore bancario e a quello delle
costruzioni, ormai così sputtanati da non fare più neppure notizia.
Godiamoci allora gli ultimi anni di fatiche e sangue da
sputare inutilmente in questo Paese snob, arrogante, cieco e sordo, così
gattopardesco che oggi farebbe schifo persino a Tomasi di Lampedusa, che pure
denunciò con forza e intelligenza questo nostro essere così mediocre e
meschino.
L’Italia, Paese di presunti scrittori ma di scarsi
lettori, evidentemente non merita d’essere la patria della cultura che potrebbe
essere. Ministro, forse lei non è seduto su un pozzo di petrolio ma su un pozzo
di merda. Stia attento a non sporcarsi la giacchetta blu e se proprio è scritto
che la piccola editoria debba sparire, almeno alleviate a tutti noi il dramma
dell’attesa per l’ineluttabile e staccate la spina. Saremo solo altri tra i
tanti migranti che lasciano un Paese che non li merita. E lei potrà tornare a
far finta di stare seduto su un pozzo di petrolio che in realtà è guano. Ma
siccome lei non è né petroliere né agricoltore, magari non sa distinguere l’uno
dall’altro e continua a illudersi e a illuderci…
Fine dello sfogo, da lunedì si ricomincia a incazzarcisi.
Buon fine settimana a tutti. E se avete qualche
riflessione da fare, forse varrà la pena farla. Almeno finché qualcuno non
deciderà di seguire l’esempio del democratico Erdogan chiudendo ogni social
network, così la gente non rischia di leggere cose che non si devono dire o
scrivere.
Leggere… Eppure dicono che non nuoccia gravemente alla
salute. Il fumo pare faccia male. Le onde elettromagnetiche dei telefonini pare
facciano male. L’ignoranza grassa di sicuro fa male. Leggere – si vocifera –
invece fa molto bene. Lo sanno le anziane signore romane che cercherebbero dei
libri da comprare (incredibile: esistono ancora persone che credono che i libri
vadano comprati!) – ma penso ve ne siano così in ogni parte d’Italia – Sarà
bene che qualcuno provi a spiegarlo anche al resto della popolazione. Editori
(che troppo spesso pubblicano robaccia) e librai inclusi.
Buon tutto!