È uscito
qualche giorno fa un rapporto del Centro
per l’Azione contro le Mine della Bosnia Erzegovina (Mine Action Centre BiH) che fa
il riassunto sulla patologia d’origine esclusivamente umana chiamata mine
anti-persona (c’è ancora chi, erroneamente, le continua a chiamare mine
anti-uomo, facendo razzismo di genere anche nella tragedia).
Facciamo
un breve punto della situazione, usando le cifre a nostra disposizione.
La guerra
in Bosnia Erzegovina termina alla fine del 1995, con i discussi e discutibili
Accordi di Dayton, che certificano l’aggressione serba e croata ai danni della
Bosnia e la nascita di un’Entità-monstre chiamata Repubblica Serba di Bosnia
(Rs), sostanzialmente basata sul genocidio. Da allora, dicembre 1995 (gli
Accordi vengono raggiunti nel novembre 1995 a Dayton, nell’Ohio, e firmati il
mese dopo a Parigi), al gennaio 2014 nella cosiddetta Porta d’Oriente sono
saltate sulle mine oltre 1.200 persone, circa la metà delle quali (600) sono
morte. Le ultime tre vittime sono di gennaio 2014. Tra loro c’era un bambino di
dieci anni, Sejdo, che col padre, rimasto ferito, e lo zio, cercava rottami di
ferro da rivendere, per poter mettere un piatto di minestra in tavola.
Le mine
sono state deposte da tutte le parti in guerra durante il conflitto del
1992-1995 ma la maggiore parte è stata disseminata da una delle tre parti
belligeranti. I campi minati sono stati tutti recensiti ma spesso non esistono
mappe relative alla posa degli ordigni. Inoltre, anche esistendo, oramai le
posizioni delle mine non sarebbero più le stesse e, se anche vi fosse la
volontà politica di sminare, non vi sono le risorse. Servirebbero più di
trecento milioni di euro per finire il lavoro di sminamento. Ma quei soldi in
Bosnia non ci sono – laddove c’era da rubare, la politica corrotta ha già
rubato tutto – e non c’è al momento nessuno, all’estero, disposto a stanziarli.
Se si faccia eccezione, con molta calma – polako polako, direbbero i bosniaci –
per l’Unione europea.
Al
momento sarebbero circa 1.200 i chilometri quadrati minati, pari a circa il 2,5
per cento del territorio bosniaco. Le mine presenti su questa superficie
sottratta alle attività produttive (il che è gravissimo, considerando che larga
parte della Bosnia è aspra e montuosa) sono decine di migliaia e si conta che
tra mine e uxos, ovvero ordigni bellici inesplosi, siano almeno 120.000 i “pezzi”
portatori di morte ancora attivi sparpagliati sotto al terreno. Va ricordato
che alla fine della guerra erano circa 3.000 i chilometri quadrati infestati
dalle mine e che nel corso degli anni ne sono state fatte brillare circa 65.000.
Tuttavia va anche ricordato che secondo alcune fonti le mine e gli uxos
presenti in Bosnia sarebbero anche di più.
L’Unione
europea s’è impegnata ad assistere la Bosnia affinché il pericolo mine sia estirpato
entro il 2019. Neanche a dirlo, mancano i fondi e la disorganizzazione regna
sovrana. Risultato: oggi si ipotizza per la fine dei lavori il 2024. Nel
frattempo, agli oltre 250.000 morti della guerra andranno ad aggiungersi le migliaia
di vittime innocenti in tempo di pace. Quattro anni per minare il territorio,
trent’anni per porre rimedio a questo disastro (se andrà “bene”): i conti, come
sempre, non tornano…