giovedì 27 febbraio 2014

Bosnia, qualche aggiornamento sulle mine anti-persona

È uscito qualche giorno fa un rapporto del Centro per l’Azione contro le Mine della Bosnia Erzegovina (Mine Action Centre BiH) che fa il riassunto sulla patologia d’origine esclusivamente umana chiamata mine anti-persona (c’è ancora chi, erroneamente, le continua a chiamare mine anti-uomo, facendo razzismo di genere anche nella tragedia).
Facciamo un breve punto della situazione, usando le cifre a nostra disposizione.
La guerra in Bosnia Erzegovina termina alla fine del 1995, con i discussi e discutibili Accordi di Dayton, che certificano l’aggressione serba e croata ai danni della Bosnia e la nascita di un’Entità-monstre chiamata Repubblica Serba di Bosnia (Rs), sostanzialmente basata sul genocidio. Da allora, dicembre 1995 (gli Accordi vengono raggiunti nel novembre 1995 a Dayton, nell’Ohio, e firmati il mese dopo a Parigi), al gennaio 2014 nella cosiddetta Porta d’Oriente sono saltate sulle mine oltre 1.200 persone, circa la metà delle quali (600) sono morte. Le ultime tre vittime sono di gennaio 2014. Tra loro c’era un bambino di dieci anni, Sejdo, che col padre, rimasto ferito, e lo zio, cercava rottami di ferro da rivendere, per poter mettere un piatto di minestra in tavola.
Le mine sono state deposte da tutte le parti in guerra durante il conflitto del 1992-1995 ma la maggiore parte è stata disseminata da una delle tre parti belligeranti. I campi minati sono stati tutti recensiti ma spesso non esistono mappe relative alla posa degli ordigni. Inoltre, anche esistendo, oramai le posizioni delle mine non sarebbero più le stesse e, se anche vi fosse la volontà politica di sminare, non vi sono le risorse. Servirebbero più di trecento milioni di euro per finire il lavoro di sminamento. Ma quei soldi in Bosnia non ci sono – laddove c’era da rubare, la politica corrotta ha già rubato tutto – e non c’è al momento nessuno, all’estero, disposto a stanziarli. Se si faccia eccezione, con molta calma – polako polako, direbbero i bosniaci – per l’Unione europea.
Al momento sarebbero circa 1.200 i chilometri quadrati minati, pari a circa il 2,5 per cento del territorio bosniaco. Le mine presenti su questa superficie sottratta alle attività produttive (il che è gravissimo, considerando che larga parte della Bosnia è aspra e montuosa) sono decine di migliaia e si conta che tra mine e uxos, ovvero ordigni bellici inesplosi, siano almeno 120.000 i “pezzi” portatori di morte ancora attivi sparpagliati sotto al terreno. Va ricordato che alla fine della guerra erano circa 3.000 i chilometri quadrati infestati dalle mine e che nel corso degli anni ne sono state fatte brillare circa 65.000. Tuttavia va anche ricordato che secondo alcune fonti le mine e gli uxos presenti in Bosnia sarebbero anche di più.
L’Unione europea s’è impegnata ad assistere la Bosnia affinché il pericolo mine sia estirpato entro il 2019. Neanche a dirlo, mancano i fondi e la disorganizzazione regna sovrana. Risultato: oggi si ipotizza per la fine dei lavori il 2024. Nel frattempo, agli oltre 250.000 morti della guerra andranno ad aggiungersi le migliaia di vittime innocenti in tempo di pace. Quattro anni per minare il territorio, trent’anni per porre rimedio a questo disastro (se andrà “bene”): i conti, come sempre, non tornano…