mercoledì 11 dicembre 2013

"Fare editoria", l'intervista di Silvana Mazzocchi su "Passaparola" di Repubblica.it"

Con immenso piacere condivido con voi le risposte date alla bravissima collega Silvana Mazzocchi per la sua seguita rubrica "Passaparola" su Repubblica.it a proposito del mio libro FARE EDITORIA.
L'intero articolo di Silvana Mazzocchi, con la sua introduzione (o "cappello") all'intervista può essere letto a questo indirizzo: http://www.repubblica.it/rubriche/passaparola/2013/12/11/news/fare_editoria-73337787/
Qui riporto solo domande e risposte e v'invito a leggere l'articolo al link di cui sopra e a rilasciare commenti e, possibilmente, a condividere su facebook e sugli altri social network.
Grazie e buona lettura! E a presto sulle pagine del mio blog e su facebook.

1)  Essere un piccolo editore, secondo il suo libro, sembra quasi impossibile... Che cosa serve per tentare comunque?
Quasi impossibile, forse no; ma molto difficile, senza dubbio. Le faccio un esempio per provare a spiegarmi meglio. Poche settimane fa, in occasione di una tradizionale fiera del libro della piccola editoria, gli organizzatori invitarono un editore francese come ospite. Si svolse un incontro pubblico nel corso del quale il collega d’oltralpe ci spiegò che la crisi sta colpendo l’editoria anche in Francia. E portò due esempi, per lui lampanti della crisi. Disse che lo Stato francese sta tagliando sussidi all’editoria e che i distributori stanno aumentano le richieste di sconto sui libri che devono distribuire, superando talvolta anche il 40 per cento.
Noi colleghi italiani restammo basiti. In Italia, quando va bene, lo sconto che l’editore deve riconoscere al distributore oscilla tra il 55 e il 65 per cento e l’editoria libraria, almeno quella piccola, non beneficia di nulla, a livello pubblico. Avevamo solo una agevolazione, ovvero le tariffe postali agevolate per la spedizione dei libri tramite le Poste Italiane, che un decreto firmato Claudio Scajola e Giulio Tremonti ha cancellato nel giro di 24 ore il 30 marzo del 2010. Un altro esempio: come fa un piccolo editore a crescere e a migliorarsi se non ha margini per investire in sviluppo e innovazione dovendo pagare (dati del 2013 per l’anno 2012) oltre il 65 per cento di tasse, tra tassazione diretta e indiretta? Un ultimo esempio? Perché se un cittadino italiano acquista un  libro negli Stati Uniti o in Germania può pagare delle spese di spedizione irrisorie mentre se un cittadino straniero, fosse anche svizzero, acquista un libro in Italia, rischia di dover pagare 10-12 euro di spese di spedizione? Esportare cultura – in un Paese che dovrebbe vivere di cultura, come l’Italia – per un editore italiano è impossibile. Ancora: in Italia ci sono, attive, circa duemila case editrici, ma non esiste uno studio di settore ad hoc per loro, il che vuol dire che con difficoltà una casa editrice riesce a essere congrua per il fisco, dovendo però applicare studi di settore pensati per le tipografie. E potremmo andare avanti.
In sostanza, in Italia fare impresa editoriale è un percorso a ostacoli insopportabile che comincia nello studio del notaio all’atto della costituzione della società editoriale e non finisce più. A questo si aggiunga che in Italia i dati di vendita generali sono imbarazzanti rispetto ad altri Paesi europei, il che può voler dire diverse cose, oltre al fatto, evidente, che oramai la crisi ha trasformato il libro in un bene voluttuario. Ora bisognerebbe capire quante e quali sono le responsabilità, in negativo, anche di editori e autori rispetto a questa disaffezione. Una cosa però è chiarissima: fare editoria oggi vuol dire vivere costantemente in bilico sull’orlo del baratro, ovvero del fallimento. E i tanti fallimenti di editori, librai e distributori degli ultimi mesi – nel totale disinteresse del governo e della politica (e spesso anche degli autori e dei lettori) – lo sta purtroppo ampiamente a dimostrare.

2)  Dalla parte degli autori, che cosa fare per poter pubblicare al meglio?
Con grande chiarezza, bisognerebbe che fosse finalmente chiaro che non tutti possono improvvisarsi scrittori. In Italia ci sono troppi scrittori improvvisati e troppi pochi lettori. Il primo consiglio allora può essere di leggere, di farlo di più e di provare a farlo non superficialmente. Una volta realmente pronto, l’autore non deve avere fretta di pubblicare, deve scegliere con attenzione l’editore a cui rivolgersi e farlo senza inviare a pioggia la sua proposta editoriale. L’editore va contattato dopo aver studiato il suo catalogo; gli va inviata una sinossi valida; gli vanno illustrati adeguatamente i punti forti del testo; va testato il suo reale interesse per la pubblicazione senza intestardimenti.
Però il discorso non può essere visto solo dal lato dell’autore. Di questi tempi, con la crisi che c’è, gli editori spesso non possono permettersi di investire su autori che magari meriterebbero. Questo perché le risorse sono limitate, il numero dei lettori cala e i dati della distribuzione sono vieppiù avvilenti. Per questo avere un po’ di pazienza nel raggiungimento dell’accordo e della pubblicazione potrebbe aiutare sia l’editore a fare il suo lavoro sia l’autore a realizzare il suo sogno. In sostanza: è giunto il momento che due figure chiave della filiera editoriale, ovvero editore e autore, comincino a remare finalmente nella stessa direzione, in attesa che anche gli altri attori di questo mondo complicato comincino a fare la stessa cosa. A cominciare dalle librerie e dalla distribuzione, che in questa drammatica crisi dell’editoria italiana sono tutt’altro che scevre da responsabilità.

3) Dalla parte dei lettori, come orientarsi nella giungla dei titoli in libreria? Visibilità, marchio, eccetera non sono  certo sempre indici di garanzia...
Ha perfettamente ragione. Anzi, non ho paura di affermare che spesso ciò che sta più in vista in vetrina o sul bancone della libreria è quanto di peggio si possa trovare in circolazione. Il marketing editoriale, come quello abbinato alla politica, spesso usa tanti soldi non per promuovere un “prodotto” valido, ma solo per promuovere il prodotto che è in grado di investire quei soldi. E questa è una grossa responsabilità degli editori, in particolare dei grandi editori, che oramai trattano il libro come qualsiasi altra merce. La domanda però è: il libro è una merce? O, se vogliamo, è solo o innanzitutto una merce? Io credo sinceramente di no. Ma i grandi editori che cosa credono, invece?
Se mi metto dalla parte dei lettori – e in effetti ogni editore è innanzitutto un grande lettore – oggi c’è in effetti di che perdere fiducia, quando si entra in libreria. Un tempo era quasi naturale entrare in libreria e cercare un “buon romanzo”. E il buon romanzo quasi sempre si trovava. E se risultava difficile, entrava in scena la figura del libraio, quello vero, che sapeva consigliare e far innamorare perché era innamorato: di un libro, di un autore, di una professione che era quasi una missione. Oggi entrare in libreria vuol dire addentrarsi in una selva oscura fatta di oltre trentamila romanzi nuovi l’anno – alcuni pubblicati dopo editing sommari – e se non si trova il libro giusto, ci si imbatte in commessi che devono applicare logiche da supermercato in termini di metri quadrati da coprire e di secondi da dedicare a ogni lettore, che è ormai solo ed esclusivamente cliente.
Da lettore, questo mi fa sentire male. Da editore, che vorrebbe potersi di nuovo imbattere in tanti librai che vedano la loro come una missione, questo mi fa essere molto pessimista per il futuro. Se non riusciamo, tutti insieme, a fare marcia indietro, non solo non usciremo mai da questa crisi ma avremo perso anche la grande occasione che ogni crisi porta con sé: quella di determinare rottura, innovazione, cambiamento. La crisi ormai insiste sul settore da anni. Ma, onestamente, di innovazioni, rotture, cambiamenti, non se ne sono visti. Fin qui, abbiamo visto solo fallimenti…