venerdì 12 luglio 2013

Srebrenica, Repubblica Srpska e Serbia: presenti e assenti

Esprimendo la “speranza che tutti i popoli della Bosnia Erzegovina, come pure quelli degli altri Paesi della ex Jugoslavia, continueranno nel processo di riconciliazione e nel facilitare la coesistenza basata sull’uguaglianza delle nazioni e sul pieno rispetto delle libertà e dei diritti umani e delle minoranze, per far sì che i crimini commessi non si ripetano mai più in futuro”, ieri, 11 luglio 2013, il Parlamento della Serbia ha reso omaggio alle vittime del genocidio di Srebrenica esprimendo, nel diciottesimo anniversario di quella spaventosa tragedia, partecipazione al dolore delle famiglie, ma senza dimenticare le vittime serbe perite nelle guerre che negli anni Novanta – dalla Slovenia al Kosovo – hanno insanguinato l’area balcanica e visto, in un modo o nell’altro, Belgrado sempre al centro dell’attenzione.

Parole utili a stemperare le tensioni, sempre presenti nell’area, e ad addolcire i rapporti con l’Unione europea, missione principale della nuova maggioranza che sostiene il presidente serbo Nikolic.
Alle parole, tuttavia, non hanno fatto seguito i fatti. Alla commemorazione di ieri del genocidio di Srebrenica, e alla tumulazione di altre 409 vittime sulle oltre diecimila totali, non hanno infatti partecipato esponenti serbi o serbo-bosniaci, se si escluda un annoiato ministro di secondo piano mandato da Banja Luka, capitale amministrativa della Repubblica serba di Bosnia (Rs). Assente (completamente ingiustificato) il presidente serbo-bosniaco della presidenza tripartita della Bosnia Erzegovina; assenti il presidente e il primo ministro della Rs (altrettanto ingiustificati, vista la esigua distanza chilometrica da percorrere); assente il presidente del parlamento della Rs; assenti governanti e parlamentari della Serbia. Tutti ingiustificati.

La via del dialogo deve sempre restare aperta. Ma ogni tanto – come aveva fatto più volte l’ex presidente serbo Boris Tadic – metterci la faccia può anche fare la differenza. In positivo. E di questo, da due decenni a oggi, i Balcani hanno un gran bisogno.