giovedì 11 luglio 2013

Srebrenica, oggi il diciottesimo anniversario del genocidio

Oggi cade il diciottesimo anniversario del genocidio di Srebrenica.
Altre 409 piccole bare verdi, con il loro contenuto di ossa, dolore e giustizia negata, vengono sepolte nel memoriale di Potocari accanto alle 5.657 già presenti. Una cerimonia alla presenza di decine di migliaia di persone, giunte per ricordare e per piangere queste povere vittime dell’odio nazionalista, rievocherà quanto accaduto nel luglio 1995, nella speranza, forse vana, che non accada mai più.
Mi piace, quest’anno, ricordare Srebrenica con questa foto, scattata quando, nel 2011, il corpo di questo ragazzo cattolico fu sepolto a Potocari accanto a quelli dei tanti musulmani bosniaci rimasti a difendere la città e crudelmente torturati e trucidati.
Oggi al posto di questa croce c’è una lastra di marmo scura, con sopra un’altra croce. Questo ragazzo e il fratello, entrambi cattolici, erano rimasti a Srebrenica per difendere la loro città dall’assalto degli ultranazionalisti serbo-bosniaci e serbi. Il fratello morì nel 1992, all’inizio dell’assedio; lui resistette per tre anni e mezzo all’assedio e fu trucidato tra l’11 e il 16 luglio 1995, allorché si compì il genocidio. La famiglia, cattolica, rintracciata in Serbia, ha voluto che il corpo di questo caro rimanesse a Srebrenica per onorare il suo sacrificio accanto ad altre 40.000 anime rimaste assediate in città.
A noi questo ragazzo ricorda che quella di Srebrenica non è stata la difesa dell’islam bosniaco contro l’assalto del cristianesimo, per liberare il fianco d’Europa dall’invasore musulmano sei secoli dopo la conquista ottomana della Bosnia, ma che è invece stata una lotta tra male e bene, col male ad assediare e il bene, nei panni di decine di migliaia di civili, molti dei quali solo bambini, a subire e a morire. Alla fine ha vinto il male, lasciandosi dietro una scia di sangue spaventosa. Spaventosa come il sangue dei civili serbo-bosniaci versato dai gruppi di paramilitari musulmani bosniaci sempre in quella zona. Ma solo quando la smetteremo di etichettare il sangue e i morti e riconosceremo loro la dignità di una vita umana spezzata, senza targhette e senza mezzi fini, potremo dire di aver capito. Una persona, mi piace pensare, non è quel che gli altri vogliono ma ciò che è. E una persona, prima d’essere cristiana o musulmana, prima di qualsiasi altra cosa, è una persona. E solo questo basta a renderla unica e sacra, come unica e sacra è la sua vita. Al di là di ogni eventuale e superflua appartenenza di parte. Che conta solo, purtroppo, quando qualcuno vuole trovare basi teoriche a meschini e obbrobriosi atti che sta compiendo o intende compiere.