Di solito
non scrivo mai nulla sul dopo. Annuncio, in modo piuttosto scarno, le
presentazioni o le iniziative a cui sono invitato a partecipare poi, passata la
data, tutto viene dimenticato. Io giustifico la cosa con la mancanza di tempo.
E vi assicuro che se la giornata durasse 32 ore, non mi basterebbe lo stesso.
Secondo altri, questo difetto di comunicazione è dato dal fatto che non mi
stimo abbastanza e non sono capace di valorizzare adeguatamente il mio lavoro.
Probabile che abbiano ragione anche e soprattutto loro. Ma che ci posso fare?
Posso solo chiedere aiuto a chi sa fare ciò che mi vede del tutto incapace.
Due
parole su Crevalcore però le vorrei dire, se avete la pazienza di leggerle. Una
presentazione sulla carta “facile”, a un’ora di macchina da casa. Quando mai si
riesce a partire da casa un’ora prima, senza dover lottare con ritardi
ferroviari, sporcizia nelle carrozze, mancanza di ogni sorta d’informazione,
prezzi dei biglietti ingiustificati dal livello del “servizio” e così via
dicendo? Per non parlare della schiena che fa male, sempre più male, al
mattino, quando ti alzi da un materasso che non è il tuo?
Il
navigatore ha deciso di regalarmi l’arrivo nel luogo dell’appuntamento
scegliendo per me stradine di campagna. Strette strisce d’asfalto immerse nel
verde esplosivo della Bassa. Uno spettacolo. Il cielo non è azzurro ma tende al
grigio, però non importa: l’esibizione di bellezza di questi posti non ci
rimette neppure un po’. Ho la febbre, sono sotto tachipirina e praticamente
sfebbro o quasi durante il tragitto. Però ho deciso di prendermela comoda, di
viziarmi un po’, e per il viaggio scelgo “Octavarium” dei Dream Theater: un
capolavoro dell’epic rock, imbattuto e imbattibile, che negli anni ha
influenzato persino la “conversione” di un mega gruppo storico come gli Iron
Maiden. Se non conoscete “Octavarium”, dovete assolutamente sentirlo. Come
anche l’ultimissimo di questo storico gruppo hard rock statunitense: “A
dramnatic turn of events”.
Il
navigatore mi porta quasi a destinazione, tra aziende agricole rigogliose,
chioschi che vendono fragole, asparagi e duroni strada facendo e piccoli borghi
(tri)colorati a festa per le celebrazioni dul 2 giugno, il giorno dopo.
All’improvviso
mi ritrovo proiettato nella tragedia del terremoto del maggio 2012.
Il
navigatore non lo sa – forse perché non l’ho ancora aggiornato – ma c’è un
grande cavalcavia in cemento armato, opera abbastanza recente, sul quale non si
può transitare. C’è una cesura netta, un muro invalicabile. Sul cavalcavia sale
qualche ciclista, due ragazzi coi pattini, una famiglia a piedi per una passeggiata
del sabato pomeriggio su questo mostro di cemento costato milioni e messo al
tappeto dalla forza devastante della natura. Le auto no, non possono passare. E
mi ritrovo col navigatore in tilt – “Fare inversione a U…!”, “Tornate indietro
appena possibile…!”, impera ma signorina chiusa nella scatoletta di plastica – e,
ancora di più, con l’obbligo ora di misurare con gli occhi gli effetti del
sisma sulla vita delle persone. Ora che procedo a bassissima velocità, un po’
sacramentando, lo ammetto, i miei occhi sono costretti a leggere i cartelli
attaccati sulle case con i divieti di accesso per chiunque; a prendere nota
delle decine, centinaia, migliaia di metri di nastro di plastica che delimitano
gli edifici pericolanti, ognuno dei quali nasconde nella sua pancia fredda il
dramma di una famiglia, di donne, bambini, uomini d’ogni età. Dove sono i soldi
per ricostruire, per dare a chi ne ha diritto la gioia del rientro a casa? Dove
sei, Stato, che sperperi soldi in strumenti volanti di guerra invece di aiutare
chi è rimasto in panne a terra?
Alla
fine, con un po’ di ritardo, tra gli organizzatori che mi guidano via telefono
e il navigatore che riesce a riaversi dal suo personale trauma, riesco ad
arrivare a destinazione. Via del papa 4376, Crevalcore, provincia di Bologna.
Si tratta di un capannone riadattato, grazie a finanziamenti privati, a sala
polifunzionale: chiesa, magazzino, fabbrica di una locale cooperativa, centro
anziani, centro giovani… Tutto. La vita di una comunità si svolge lì dentro, in
mezzo alla campagna, in questo grande e accogliente capannone dal bel tetto in
legno. Per la terza volta nella mia vita, io – agnostico convinto – mi trovo a
parlare di Bosnia Erzegovina, di nazionalismo, di responsabilità dei vertici di
tre credo monoteistici nel disastro umano sociale e civile di un popolo, da un
altare. Le due volte precedenti era stato, in piedi, dal pulpito di un’accogliente
e umile, ma affatto dimessa, chiesa valdese; ora è dall’altare, che è un tavolo
di legno con sopra una tovaglia colorata, d’una chiesa cattolica d’emergenza,
quindi forse la più bella chiesa cattolica possibile: niente stucchi, affreschi,
pomposità, esternazioni di potere e di ricchezza, arroganza. Solo umiltà,
vicinanza, prossimità con chi ha bisogno. Il vero senso, la vera missione del
credo e dei suoi servitori.
Nella
sala, giovani e anziani, religiosi e laici, un prete, due frati, uno dei quali
dà quasi da subito l’idea di volersi addormentare. Poi si riprende, resiste, si
riaffloscia sulla sedia, ma alla fine riesce nella missione ardua di aprire gli
occhi. Una vecchietta, invece, crolla sullo schienale e ronfa beatamente. Buon
per lei. Meno male però che i tanti altri seguono e partecipano, altrimenti
meglio senz’altro i Dream Theater.
È stato
bello. Parlare di Bosnia e sfebbrare, in un sabato pomeriggio così diverso dal
solito, in questa chiesa polifunzionale d’emergenza di via del papa 4376,
Crevalcore, è stata una delle esperienze più belle della mia piccola e
insignificante vita di giornalista-editore-scribacchino indipendente. Mi ha
dato pienamente il senso di quel che faccio e di quel che devo e voglio
continuare a fare. Nel mio piccolo, come sempre e come mia abitudine. I grandi
palcoscenici li lascio volentieri agli altri. Io metto la firma fin da ora per
altre mille, diecimila, centomila volte e più in posti come via del papa, a
Crevalcore. Ma senza terremoto. Senza terremoto, ti prego, italico suolo (e sottosuolo
incluso).
Vi
aspetto a Piacenza il 4 giugno, Centro Il Samaritano, via Giordani 21, ore 21,00.
Come sempre, vi aspetto.
Mi fa piacere anticipare, poi, che giovedì 6 giugno sarò a Roma per la "prima" de "Il caso DuePiù", il libro firmato da Natalina Lodato, vincitore della prima edizione del Premio Barbara Fabiani per la storia sociale. L'iniziativa si svolgerà presso la Biblioteca di storia moderna e contemporanea, Palazzo Mattei di Giove, Via Michelangelo Caetani 32, Roma, ore 17.00.
Infine, l'8 giugno parteciperò a due incontri a San Benedetto del Tronto.
Al mattino sarò relatore del convegno "I mestieri dell'editoria. Fare libri nel XXI secolo", Galleria Calabresi, ore 9,30-13,00;
al pomeriggio, nell'ambito di "Piceno d'autore", presenterò FARE EDITORIA presso la Galleria Calabresi, ore 18,00; partecipano Gianni Sofri e Gian Carlo Ferretti.