lunedì 16 agosto 2010

“Puro amore”, quanto alta letteratura e materialità si fondono e parlano di libertà


Kami. Intellettuale cattolica, professoressa. Un giorno si accorge di amare Annie appassionatamente. Sì, Annie… Ha soprannominato così il suo amore per via di una somiglianza fisica con la cantante Annie Lennox.
Kami e Annie sono donne, sono madri, sono due serie insegnanti della scuola pubblica italiana e hanno un marito.
Scandalo.
La loro passione si dispiega in un susseguirsi di emozioni in cui il sesso è raccontato senza alcuna reticenza ma con quell’ironia che aiuta a esorcizzare anche i momenti più drammatici, che sfociano, come speiga lo scrittore Giuseppe Caliceti, autore della prefazione del libro, in una vera e propria “Guerra Santa emotivo-sentimentale senza esclusioni di colpi e di intelligenze, come solo le donne sono capaci di concepire e mettere in atto”.
Ho intervistato Daniela Tazzioli per parlare di PURO AMORE ma anche di molto di più.

Daniela, esiste davvero il puro amore che dà il titolo al tuo libro?
Penso di sì, nel senso in cui lo intende Kami, protagonista e io narrante. “Puro amore” non è quello della visione romantica o lirica che il titolo può suggerire, quanto piuttosto qualcosa di molto materiale, che può arrivare persino a urtare la sensibilità del lettore, tanto che viene associato a faccende meramente fisiologiche. C’è una purezza molto concreta, carnale, materiale nello sguardo di Kami: il suo amore è “puro” ovvero non traviato da sovrastrutture ideologiche e quindi può permettersi di raccontare il sesso senza alcuna reticenza ma senza morbosità e di utilizzare, con sapienza e libertà, il linguaggio biblico per descrivere il proprio amore e disamore.

Raccontaci qualcosa di questo lavoro, il cui sottotitolo, decisamente incisivo e spiazzante (Kami ama Annie appassionatamente. Entrambe hanno marito…), eccita l’immaginazione e fa precipitare ogni punto di riferimento.
L’intento era quello di raccontare, con semplicità e ironia, una storia d’amore fra due donne, due madri, due insegnanti della scuola pubblica, nell’Italia di oggi, nella sua quotidianità fatta di bellezza e tormento e che non si distingue, se non per qualche piccolo dettaglio tecnico, dalle storie etero. È il racconto di un’esaltazione amorosa e della sua fine, vissuto dalla protagonista come una passione dai toni epici, ma anche molto quotidiani.

Quanto c’è di autobiografico in questo incredibile romanzo?
C’è uno sfondo autobiografico con una trasfigurazione letteraria. Soprattutto nella caratterizzazione dei personaggi ho un po’ forzato la mano, ché sono visti appunto attraverso lo sguardo di Kami la quale, come ogni vera eroina, è anche un po’ manichea.

Perché il libro è dedicato a Annie Lennox?
La co-protagonista è soprannominata Annie per via di una somiglianza fisica con la cantante Annie Lennox, di cui Kami è una grande fan. A un certo punto della storia Kami si chiede come abbia potuto essere stata così abbagliata dalle doti fisiche della sua Annie da scambiarle con la statura morale della “vera Annie Lennox”, alla quale, per questo, Kami chiede formalmente scusa. La dedica è quindi, in aperta polemica con la “finta”, alla “vera Annie Lennox”, per quello che per Kami e per me rappresenta: colonna sonora delle mie giornate, splendida ultracinquantenne autentica, instancabile sostenitrice di campagne umanitarie.

Tu vivi in Svizzera, a Basilea, ma sei modenese di nascita. Inoltre sei cattolica di formazione. Come vedi la posizione degli omosessuali in una società decisamente ipocrita e a tratti persino omofoba come quella italiana?
Mi sentirei di spezzare una lancia in favore dell’Italia, la cui società mi sembra, in realtà, molto più avanti, rispetto all’accettazione dell’omosessualità, di quanto non si voglia far credere. Certo, la cronaca ci riporta ricorrenti episodi di omofobia, soprattutto nella capitale, e la battaglia per la conquista dei più elementari diritti civili è ancora dura in Italia, ma mi sentirei proprio di dire che c’è davvero uno scarto fra società e politica e quindi legislazione. La Svizzera è certamente più avanti per quel che riguarda la legislazione perché esiste già da alcuni anni la legge per il riconoscimento delle coppie di fatto e ci si appresta a votare per concedere l’adozione alle coppie gay. Inoltre, ci sono campagne ufficiali contro l’omofobia che vengono portate avanti nelle scuole e c’è molta attenzione alle minoranze, in genere. Resta da capire quanto questo collimi con il reale sentire sociale, perché la Svizzera rimane un Paese impregnato di cultura calvinista in cui la stigmatizzazione sociale, nei contesti più rurali, permane. L’Italia, al contrario, è condizionata ovviamente dal Vaticano e questo impedisce non tanto alla società, quanto alla politica e, di conseguenza, al legislatore, di avanzare. Ed è davvero grave perché, comunque, alla lunga, la legge ha una sua funzione educativa, trasforma la mentalità abolendo tabù o creandone di “positivi”, come è avvenuto, ad esempio, con il duello.

Quali reazioni ha destato nel “tuo” mondo, quello degli affetti familiari, degli amici, del paese, il tuo libro?
Devo dire che le persone mi hanno davvero sorpreso per la loro apertura mentale e mi riferisco anche ai miei amici provenienti, ad esempio, dal mondo cattolico, i quali si sono rivelati, a volte, molto più aperti, empatici e solidali di altre persone cosiddette “laiche”. La mia famiglia poi, che è composta da una schiera numerosissima di zii e cugini, ha avuto, nei miei confronti, un atteggiamento estremamente protettivo e, su qualunque giudizio, è prevalso l’affetto che ci lega.

Ti aspettavi questa reazione o pensavi a qualcosa di diverso?
Temevo fortemente un giudizio sulla mia persona a vari livelli che, invece, devo dire non c’è stato. Solo un’amica, con la quale c’era un rapporto di stima e affetto, dopo aver letto il libro ha deciso di non frequentarmi e questa reazione mi ha ferito perché non proveniva da un lettore anonimo, ma mi ha anche fatto sorridere perché denuncia una fragilità che, in un qualche modo, il libro è andato a toccare. In generale però, parenti e amici hanno espresso magari la loro difficoltà o il loro minore apprezzamento rispetto ad alcune parti del libro, ma da nessuno ho percepito un giudizio sulla mia persona e questo, sì, rispetto ai miei iniziali timori, mi ha sorpreso in positivo.

Tu tieni anche un blog (www.danitazzioli.splinder.com) che è seguito da alcune centinaia di persone. Che significato ha per te questo tipo di scrittura?
Il blog è per me uno straordinario strumento di scambio con i miei lettori ed è la cosa che più apprezzo di quest’esperienza. Non c’è infatti scrittore che possa dirsi tale se non ha anche un solo lettore ufficiale e per questo io sono molto grata ai lettori che mi seguono, a ogni singolo lettore, ai quali rispondo sempre, proprio per una questione di rispetto e gratitudine.

Che cosa ti ha insegnato scrivere un libro?
Sembra banale se dico così, ma scrivere è la mia vita. Finora, per una serie di travagliate vicende esistenziali, non ho avuto molta visibilità editoriale, ma io non ho mai smesso di scrivere da quando ho composto le mie prime poesie a sette anni. Sarebbe quindi forse più appropriato chiedere che cosa mi ha insegnato pubblicare un romanzo e risponderei che è stata, per me, un’avventura molto più difficile che scrivere. Scrivere è infatti per me il mio quotidiano, tutto ciò che invece succede dal momento in cui sai che pubblicherai era per me assolutamente inedito e, quindi, difficile da gestire. Ringrazio, per questo, il mio editore che ha dimostrato di avere molta pazienza con me e le mie paturnie.

Lo rifarai?
Sì, spero proprio di poter continuare a scrivere e pubblicare negli anni a venire.