mercoledì 21 gennaio 2009

La misteriosa arte della didascalia



Emina Gegić, autrice per Infinito edizioni dell’ottimo manuale in due lingue (italiano e bosniaco) dal titolo “Dida. La didascalia nel testo drammatico / Didaskalija u dramskom tekstu”, ha presentato recentemente il suo lavoro a Brcko e a Sarajevo, in Bosnia Erzegovina, ottenendo un grande successo di pubblico e di critica. Le abbiamo posto alcune domande sul suo libro, che può fregiarsi di una doppia prefazione scritta da uno dei più grandi drammaturghi bosniaci, Darko Lukić, e da uno dei più famosi specialisti del settore italiani, Maurizio Schmidt.

D. Emina, la prima cosa che un lettore non preparato nella materia si chiede, leggendo un libro come “Dida”, è: qual è l’utilità di un simile lavoro?R. Credo che un lettore non preparato nella materia, difficilmente potrebbe decidere di leggere questo libro e tanto meno, una volta letto, di scoprire la sua utilità. A discapito delle mie tasche, Dida mira ad un target abbastanza ristretto poiché è scritto principalmente per gli appassionati della scrittura teatrale, cinematografica e televisiva, con lo scopo di perfezionare la loro tecnica.

D. Il tuo è un libro solo per “tecnici” o è consigliabile anche al pubblico più ampio, ad esempio quello che frequenta i teatri come spettatore o addirittura il cinema?R. Oltre ai drammaturghi, sceneggiatori e autori televisivi, credo che Dida potrebbe facilmente suscitare l’interesse di tutti i componenti delle troupe artistiche, come registi, attori, scenografi, coreografi, costumisti ecc. perché, alla fine della storia, noi scrittori scriviamo le didascalie proprio per loro. Dunque Dida mira a tutti quelli che fanno teatro, o cinema.

E gli spettatori?R. Temo che Dida non entri nelle sfere di loro interesse. Ecco un esempio per spiegarmi al meglio. Quando siamo influenzati, andiamo in farmacia per prendere le medicine che ci occorrono per farci stare meglio ma, se non siamo del settore farmaceutico, difficilmente compriamo libri che parlano delle ultime ricerche sul settore. Insomma, è un libro tecnico.

D. Puoi mostrarci, attraverso un esempio pratico, l’utilità della didascalia?R. Immaginiamo di stare comodamente seduti nella platea di un teatro. Stiamo ammirando una scena dello spettacolo teatrale intitolato “L’ultimo okiya”. Guardiamo la scena dove cinque geisha, vestite con i loro costumi tradizionali, si stanno esibendo per un uomo d’affari occidentale che, tra l’altro, suscita il nostro interesse poiché indossa guanti e stivali del tutto particolar,. ignifughi. Una delle cinque geisha suona per lui lo Shamisen, strumento musicale a tre corde; l’altra, la più bassa di tutte, canta meravigliosamente un’aria tradizionale, mentre le tre restanti ballano con i loro ventagli.
All’improvviso, notiamo che il pavimento sotto i piedi delle geisha comincia a cambiare colore e forma. A tal seguito, le geisha si deconcentrano, si guardano tra loro, perdono un po’ della loro bellezza nel movimento e nella coordinazione, ma non smettono affatto di esibirsi. Passano i minuti e la pavimentazione si scalda a tal punto da diventare rossa, molliccia e bollente. Apprendiamo che i piedi delle geisha si stanno ustionando e che l’uomo d’affari ride, contento della sua impresa. Le geisha, in preda al panico, cercano di fuggire dalla sala, ma trovano chiuse tutte le porte. Quando la temperatura diventa insopportabile, l’uomo d’affari, senza mai smettere di ridere, schiaccia un bottone e apre una porticina incorporata nella pavimentazione. Fugge chiudendo a chiave la porta dietro di sé. Le geisha cercando di riaprirla, ma nulla da fare. Restano chiuse nella sala incandescente, senza via d’uscita. Urla. Il volume della musica aumenta sempre di più mentre cala il buio sul palcoscenico.

Ecco, questa è, più o meno, la descrizione di quel che abbiamo visto. Dobbiamo però pensare che, prima di una messa in scena, un drammaturgo ha dovuto scrivere, strutturare tutto ciò che andava rappresentato sul palco. È dovuto cioè ricorrere all’uso della didascalia poiché il testo non prevede né monologhi né dialoghi. Noi ora abbiamo descritto la scena dal punto di vista di uno spettatore, in maniera postuma, senza seguire le regole della scrittura didascalica. Il mio libro spiega come effettivamente si scrive la didascalia in un testo drammatico e come non bisogna scriverla.

D. Perché, allora, se la didascalia, come hai appena dimostrato, ha una funzione fondamentale nel testo teatrale, e non solo in quello, fino a oggi è stata relegata in un ruolo di secondo piano?
R. È un argomento che ho analizzato approfonditamente nel mio libro. In sintesi, la colpa è di noi drammaturghi che non abbiamo trovato mai il tempo e il desiderio di trasmettere la nostra sapienza sulla scrittura didascalica alle nuove generazioni teatrali. C’è da dire, inoltre, che la didascalia nel nostro passato era molto ridotta poiché i testi teatrali erano scritti principalmente con l’uso del dialogo e del monologo. Al giorno d’oggi, invece, siamo testimoni di una società multimediale, visiva, interattiva, dove conta di più quel che fai e vedi di ciò che dici e senti, e siccome la didascalia indica l’azione e descrive le immagini, ora, in un testo drammatico, la didascalia è diventata veramente necessaria.
Nella cinematografia invece, cioè nella sceneggiatura, la didascalia è sempre stata il testo basilare. Una delle definizioni di sceneggiatura recita che è “la storia scritta con le immagini”. E dunque, se scritta con le immagini, vuol dire che la sceneggiatura si scrive principalmente con l’uso della didascalia.

D. Perché e come ti sei avvicinata al teatro e, soprattutto, vedi nel teatro il tuo futuro? Con quali difficoltà oggettive?R. Credo che la miglior cosa che ci possa capitare nella vita è trovarsi nel posto giusto al momento giusto. Io sono nata in teatro. I miei ricordi più lontani vanno al palcoscenico dove mi portava mio padre, regista e autore teatrale e televisivo. Ho passato lì tanto tempo a osservare i suoi spettacoli e quelli dei suoi colleghi, a imparare, finché, un giorno, dopo 17 anni, è arrivato anche il mio momento giusto. In quel periodo avvertii un’estrema necessità di mandare messaggi, di testimoniare, di esprimermi attraverso il teatro. C’era la guerra nel mio Paese d’origine e io feci il mio primo spettacolo che parlava della vita dei diciassettenni nella Sarajevo assediata. Ora, a dire il vero, mi auguro che il mio futuro non sia solo in teatro ma anche nel cinema e in televisione. Le difficoltà oggettive sono identiche a quelle che affronta chiunque altro: c’è la crisi economica.

D. Secondo te, oggi, che cosa deve avere un giovane per avvicinarsi e riuscire a vivere nel mondo del teatro?R. Non voglio essere monotematica, ma oltre a talento e voglia di imparare, credo proprio che devono avere dei genitori benestanti.

D. La più bella rappresentazione teatrale cui hai assistito in vita tua?R. Non conservo nella mente un’unica rappresentazione teatrale, ma tante diverse scene che ho visto e che appartenevano ai vari spettacoli. Una specie di The Best Of. A ogni modo, durante la scrittura del libro ho cercato di non farmi influenzare troppo da registi, scrittori e poeti che mi intrigano intellettualmente. Ecco perché ho citato drammaturghi riconosciuti da tutti quanti come dei gran maestri.

D. La più bella alla quale, un giorno, speri di poter assistere?R. Sono superstiziosa. Posso non rispondere?