mercoledì 31 dicembre 2008

Buon anno nuovo?


31/12/2008. Si chiude un anno difficile. Ma quante (troppe) speranze e paure per l’incipiente 2009!

I bilanci di fine anno sono qualcosa che spetta a presidenti, commercialisti, opinionisti e cartomanti. Per carità: non aggiungiamo altre voci alle tante – troppe – che già dicono la loro.

Quello che a noi interessa qui è ringraziare tutti coloro che nel 2008 ci hanno seguito, letto e sostenuto, e – in anticipo – tutti coloro che lo faranno nel 2009, l’anno terribile che tutti aspettiamo e che, alla fine, sta arrivando. E, magari, provare a fare qualche riflessione.

Sarà, alla fine, quella che pare ci aspetti la grande recessione che tutti paventano? Ottant’anni dopo il 1929, lo spettro della miseria torna ad affacciarsi nella società dell’opulenza che hanno creato per noi e che si nutre della nostra solitudine e del nostro egoismo? Può darsi. Intanto, però – come accaduto su scala locale in Argentina o nella Russia degli oligarchi e degli agenti segreti – pochi furbi stanno approfittando della crisi e della paura per arricchirsi alla faccia del resto dell’umanità. Ce ne accorgeremo solo dopo, alla fine del tunnel, quando raccoglieremo cocci e sorprese. Ma stiamo tranquilli che è e sempre sarà così. La crisi di molti, normalmente rappresenta la fortuna di pochi. E ciò pone i prodromi di nuove, cicliche crisi. Almeno finché non sarà cambiato modello e sistema di sviluppo. Ma c’è chi sostiene ancora che il capitalismo sia il sistema migliore, nonostante nella sua patria in molti non la pensino più così…

L’anno bisestile sta per finire e ci lascia una scia di veleno e ansia: l’Iraq in cui si continua a morire, lo spettro del fallimento politico e diplomatico e della disfatta militare in Afghanistan, la crisi sempiterna con Teheran e le incipienti elezioni iraniane che segneranno la fine del breve “impero” dell’impresentabile Ahmadinejad, le rinnovate tensioni indo-pachistane, il surriscaldamento globale, la crisi del sistema bancario e quella del sistema assicurativo in arrivo, via via fino all’attualità della nuova fiammata di stupidità e sangue a Gaza si spostano, tutte insieme, come un blocco granitico dal peso inimmaginabile, da un anno all’altro ma, soprattutto, da un presidente degli Stati Uniti all’altro. Dalla certezza, dunque, della fine del governo di un inetto che per otto anni ha negativamente condizionato il pianeta alla rinata speranza evocata prima e ora incarnata dal primo capo dello Stato nordamericano nero, che restituisce al globo terracqueo in stagflazione economica ed etica una rinnovata speranza di uguaglianza, di libertà, d’etica. D’intelligenza.

Barak Obama non è detto sia l’uomo del futuro e non è certo che, alla fin fine, soddisfi le aspettative di tutti noi. Potrebbe essere un nuovo bluff a stelle e strisce, un nuovo John Fitzgerald Kennedy che, oggi rievocato e ricordato con enfasi – in particolare nella provincia italiota così superficiale – nessuno riesce o vuole ricordare come l’uomo della baia dei porci, altro che storie!

Su Obama il peso e le pressioni sono enormi. Da un lato ci siamo noi, la maggioranza dei silenziosi e degli insoddisfatti, coloro che vorrebbero che fosse finalmente posto un freno agli sporcaccioni che devastano il mondo per non seguire le più elementari misure anti-inquinamento, agli assassini che producono armi e le vendono (e a coloro che, acquistandole e usandole, permettono al Prodotto interno lordo di molti Paesi di crescere, alla faccia dei civili che massacreranno), agli intossicatori che spacciano sulle nostre tavole cibi sempre più devastanti e ai nostri figli merda da sniffare, fumare o infilarsi in vena, agli affamatori che preferiscono buttare prodotti agricoli sotto terra per farne crescere il prezzo sui mercati nazionali e internazionali piuttosto che inviarli a chi muore di fame, inclusi coloro che muoiono di freddo nei Paesi ricchi, buttati per strada al freddo sotto qualche cartone racimolato intorno a un’edicola. Dall’altro lato ci sono gli interessi di questa microscopica minoranza di ottusi ricchi, abili a sguazzare nell’acquario infame della loro opulenza e privi delle anche minime qualità umane di rispetto e pietà. Alcuni di loro, in tarda età, paiono svegliarsi e volersi rifare una verginità. Bentornati tra noi. Ma perché, in definitiva, dovremmo ricordare Bill Gates come l’uomo che, con la sua fondazione, aiuta i poveri per lavarsi la coscienza, quando la sua azienda ha “gabbato” centinaia di milioni di persone con i suoi sistemi operativi difettosi, permettendo al grande padrone dell’informatica mondiale di riutilizzare una inima parte di quegli introiti per lavarsi coscienza e immagine? Basta Mr. Gates, basta con le sue licenze e il suo sorriso da nonno buono, e basta con le altre poche migliaia di arroganti padroni del mondo che fanno e disfano sulla nostra pelle, creando brevetti, costruendo muri e abbattendo ponti con la complicità negligente e ghiotta di politici mediocri e mendaci che non meritiamo. Come quelli italiani, ad esempio.

Che anno sarà, il 2009, in un Paese come l’Italia, ormai periferia della periferia, messa con le spalle al muro da sogni di grandezza mai raggiunta e da una classe politica di mediocrità storicamente forse mai raggiunta prima, neppure ai tempi della negletta casa regnante che un tempo il destino, con sarcasmo e cinismo, c’impose? Nel Paese delle polemiche stantie e offensive del minimo buon gusto, non dobbiamo, purtroppo, aspettarci altro che un calo ulteriore del rispetto per l’intelligenza di chi, qui, pure ci vive e intende continuare a farlo. Un’opposizione inesistente e incapace non potrà bilanciare un governo altrettanto incapace e lontano dalle aspettative generali nei suoi interessi e nei suoi piani d’azione. Chi guadagna 20.000 euro al mese e vive in giacca e cravatta, magari montando su polemiche pruriginose perché nel prezzo del pranzo sontuoso a costo proletario che il contribuente gli paga non è più incluso il gelato, d’altronde, neppure lontanamente può immaginare che cosa voglia dire campare con 400 euro al mese lavorando in un call center o facendo le pulizie in nero a ore, oppure cucendo orli di pantaloni accecandosi davanti a una macchina da cucire. E stiamo parlando dei fortunati, di quelli cioè che, in definitiva, una miseria di lavoro pure l’hanno o se lo sono creato. Senza ricorrere a drastiche misure, senza abbassarsi a delinquere per sopravvivere. Perché questo è ancora, per fortuna, un Paese di brava gente. Brava gente sola e intristita, purtroppo. La classe politica italiana ignora completamente le condizioni in cui vive il Paese reale, perché non lo frequenta, non lo conosce e, soprattutto, non lo capisce. Perché non è sufficiente sapere. Il passo successivo è capire. Solo la comprensione – e il bagno di umiltà che vi è alla base – permette di trovare delle soluzioni. Ma come può chi colleziona ville o si rilassa veleggiando verso la Sardegna o fa il ministro dai Caraibi o il ministro ombra dal Kenya conoscere i reali bisogni e le vere paure di un Paese e dell’eterogeneo popolo che fortunatamente e per sua sfortuna vi vive?

La paura è oggi il vero discrimine della politica mondiale e quindi, di riflesso – esportatori di ottimi cervelli e importatori di pessime mode come siamo – della “politichetta” nazionale. Chi ha avuto la fortuna di viaggiare per scrivere conosce bene certi meccanismi, che i mezzibusti televisivi affini al potere goffamente tendono a mascherare dietro porte fittizie e sigle ricche di effetti speciali: la paura del diverso, l’instillazione de terrore per “l’altro”, sono l’anticamera de disastro sociale e civle, e non di rado della guerra e della devastazione. Chi continua a pensare che i Balcani siano un altro mondo rispetto all’Italia non conosce quelle terre e ne frequenta poco o male altre. Basta soffiare sulla paura per il diverso, basta mettere all’indice la diversità come sinonimo di pericolo, invece che di ricchezza. Questo è un crimine contro l’intelligenza umana e contro l’umanità stessa. Quanto sono brutti e puzzolenti, secondo certa politica e certi media, gli africani che arrivano in Italia attraverso il Mare di Mezzo? Eppure, da marzo a ottobre, quando questi stessi africani servono per la raccolta – in nero e in odore di sfruttamento persino semi-schiavistico – di pomodori, fragole e patate, improvvisamente l’allarme muta, sfuma, diventa qualcosa di diverso. O persino scompare. Gli interessi del caporale e del padrone terriero per cui lavora vengono prima della “sicurezza nazionale”, del bisogno di rimandare indietro “la marea che ci invade”, e che sapientemente lasciamo sfruttare. Gli “zulù” sono tali e fanno paura quando non ci occorrono. Solo allora. Quando guadagnano 30 euro al giorno, lavorano 12 ore sette giorni a settimana, non sanno neppure di avere (forse ancora per poco) diritto all’assistenza medica anche se sono clandestini e vengono sfruttati coattamente, allora puzzano meno. L’importante è che, quando non vengono sfruttati nei campi, scompaiano e vadano a rintanarsi come topi nei ghetti marci e freddi che la polizia ben conosce e nei quali devono rinchiudersi fino al mattino dopo, quando scatta la nuova chiamata del caporale. Altre dodici ore di patate, fragole, pomodori da raccogliere, per farli arrivare belli mondati e a prezzi stratosferici sulle tavole degli italiani rincoglioniti dalla plastica colorata e dagli effetti speciali. Nessun sappia, tutti dormano.

In definitiva, chissà davvero che 2009 sarà.

Che 2009 sarà in Kivu, nell’est della Repubblica democratica del Congo, dove negli ultimi dieci anni sono morti in quattro milioni, ma quasi nessuno se ne ricorda, perché coltan, legname, oro, diamanti e altri “ben di dio” vengono prima e soddisfano di più le esigenze del cittadino-consumatore-cliente globale?

Che 2009 sarà a Gaza, dove un popolo intero è ostaggio di un doppio incubo dal quale non potrà forse mai uscire?

Che 2009 sarà in Iraq, dove un giornalista rischia 15 anni di carcere e pare sia già stato picchiato e torturato per avere tirato “solo” un paio di scarpe (forse le uniche calzature che aveva) contro un uomo inqualificabile come Gorge W. Bush ma nessun tribunale, mai – né iracheno né internazionale – chiamerà lo stesso signor Bush e la sua claque di squali a rispondere dei crimini perpetrati ai danni di un popolo, in nome e in virtù di una provetta fasulla mostrata al mondo intero?

E che 2009 sarà in Cecenia, dove la setta degli ex agenti del Kgb al potere al Cremino non allenta la morsa dei paramilitari e della violenza contro una popolazione vittima di un genocidio silenzioso?

E in Georgia, dove un presidente-padrone amico dell’Occidente si permette di prendere a schiaffi in publico il suo primo ministro dopo avere provocato, non più tardi dello scorso agosto, almeno 2.000 morti in un’avventurosa campagna di riconquista territoriale a lungo attesa dal “democratico” primo ministro e onnipotente padrone Vladimir Putin per assestare la mazzata filale a Tbilisi e lanciare sinistri avvertimenti all’Ucraina? E in quest’ultimo Paese, dove la questione del gas russo porterà a conseguenze interne ben più gravi di quanto in molti si aspettino?

Sono domande troppo grandi per tutti noi, alle quali non si può dare una risposta. E allora, consapevoli che il gigante nordamericano è in declino e che oggi i nuovi astri si chiamano Cina (dove i diritti umani vengono rispettati sulla base del “modello tibetano”…) e India, aspettiamo metà gennaio e speriamo che qualcosa simile a una stella cometa si sistemi sul tetto della Casa Bianca, a Washington. Obama non può essere l’uomo del destino né il salvatore venuto da Chicago. Speriamo solo sia un uomo e un governante avulso dalle porcherie del potere alle quali la classe politica statunitense ci ha fatto assistere negli ultimi anni, e che dagli Stati Uniti parta finalmente una ventata di ottimismo fresco e frizzante. Se poi l’aria nuova entrasse anche nelle narici e nelle teste delle gerarchie religiose dei grandi monoteismi mondiali, il miracolo sarebbe davvero enorme. Ma è vero che siamo a Natale, però probabilmente neppure il Dio più onnipotente potrebbe riuscire in quest’ultimo prodigio. Non si può chiedere troppo a Babbo Natale, come sanno molti bambini…. Sarebbe anche pericoloso dal punto di vista occupazionale: quanti imbecilli che ammazzano in nome della fede rimarrebbero, a ogni latitudine, senza lavoro?... No, in tempi di crisi pare che questo non sia proprio possibile…